Criature - La serie - Streaming Sub ITA Full completa

Criature - Streaming HD


TITOLO ORIGINALE: Criature
GENERE: Thriller / Noir / Onirico
NAZIONE: Italia
ANNO: 2017
DISEGNI: Studiopazzia, Leonardo Chironi, Alessandro Morese, Marcello Rubino, Roberto Guerinoni, Girolamo Berto, Stefano Donatiello, Gianna Mariello, Ruben Curto
FOTO e RIPRESE: Marcello Rubino, Alessandro Morese, Antonella Rossi
MUSICHE: Andrea Turel Caccese e Modestino Affidato
CREATO DA: Flavio Ignelzi e Antonio Furno
Capitoli scritti da Andrea Turel Caccese
Capitolo 9 scritto da Andrea Turel Caccese e Carmela Zarrillo



1x01: Attention to All Planet of the Solar Federation... |  Openload
1x02: #SanCupo |  Megavideo - 
1x03: By The numbers | Speedvideo
1x04: コモレビ  / アスパラゴ   |  Nowdownload
1x05: ontwaken |  Rapidgator
1x06: OBEY |  Cineblog01
1x07: Vermillioncore |  Fastvideo
1x08: Ignis Fatuus |  Nowvideo
1x09: Mêlée Island |  VidTo
1x??: s _ p _ on _ _  |  Youtube


Si consiglia la lettura da Mobile con la funzione "Modalità di Lettura" (Durata: 1 h 45 min, come un film vero ma più economico)

Sigla:





Episodio 1: Attention to all the planets of the Solar Federation...


- “ ...Attention to all the planets of the Solar Federation, Attention to all the planets of the Solar Federation”

Una voce distorta da uno degli altoparlanti ripeté questa frase tre volte. E per altre tre volte ripetè:

- “We have assumed control, we have assumed control, we have assumed control”.

Fu in quell’istante che Ottone Sinici, conosciuto più semplicemente come Otis, così come lo avevano cominciato a chiamare i suoi compagni di classe fin dai tempi della scuola, si destò dal divano su cui era stato sdraiato per gli ultimi venti minuti. Con un aria assonnata si guardò intorno per capire dove si trovava. Ma il volume degli altoparlanti era troppo alto e questo lo infastidiva. Senza guardarsi intorno si avvicinò al mixer che si collegava alle casse, ma nel raggiungerlo inciampò con i piedi scalzi sulla ceneriera che si trovava sulla moquette. Cicche di ogni tipo e dimensione si sparsero a terra. La cenere entrò in contatto con le dita dei piedi, procurandogli un profondo senso di fastidio. Senza pero' lasciarsi prendere dal panico si avvicinò al laptop e al mixer e trovò i canali del master che abbassò con un gesto deciso di indice e medio. Dopodiché si passò una mano sul volto, quasi a cercare di rimodellare la sua faccia stanca e stropicciata e passò la mano tra i capelli, strofinandoseli in maniera compulsiva. Chiuse e riaprì gli occhi tre o forse quattro volte prima di mettere a fuoco. Quando finalmente riuscì a capire dove si trovava, un rantolo gli attraversò la gola e lo portò a tossire.




Otis si piegò su sé stesso mentre si portava una mano alla bocca per coprire qualsiasi tipologia di germi e tossine che stavano fuoriuscendo dalla sua bocca. Dopo tre colpi ben assestati, passò con quella stessa mano sul jeans che indossava, così da liberare l’appicicosa mano da quel grumo di sostanze prodotte dal suo organismo. Rialzò la testa e si guardò intorno. Dietro di lui, seduto sulla poltrona, c’era Michele che con un Joypad in mano tentava di sconfiggere il terzo boss di Metal Slug X. Aveva già perso una trentina di vite da quando aveva incominciato. Michele lo guardò dalla testa ai piedi e rimase in silenzio per circa cinque secondi. Dopodiché, con un effabile sorriso disse:


- Buongiorno Principessa!


Otis, si stava ancora riprendendo dal sonno e dopo aver accennato a uno sbadiglio rispose...


- Da quanto tempo sono su quel divano?

- Da un bel pezzo... è calato il sole da un bel po'...


Otis cominciò a frugarsi le tasche in cerca del suo cellulare. Dopo aver cercato invano (e rantolato), notò che il telefono si trovava sul tavolino dove Michele stava appoggiando i piedi mentre giocava con la Playstation. Otis si mise davanti a Michele per pochi secondi, giusto il tempo necessario per fargli muovere la testa a destra e a sinistra con la speranza di non perdere l’ennesima vita. Speranza ovviamente invana. Otis sbloccò il suo cellulare e iniziò a guardare le innumerevoli notifiche ricevute:

Da Whatsapp, due notifiche da due differenti gruppi, gli amici dall’estero e il gruppo per il regalo di compleanno dei 30 anni di Angela. Nonostante le notifiche, il suo occhio cadde su una decina di chat più avanti, dove ce ne era uno in particolare, la sua ex-fidanzata, un contatto con una sola spunta, senza foto e senza data di collegamento. Ormai Otis ci era arrivato, era stato bloccato per aver scritto, in un momento di poca lucidità un sacco di cose per convincerla a ripensarci. Ma era troppo tardi e lo stile di vita trasandato che stava facendo da mesi non era che la conferma che tutto stava andando a puttane nella sua vita. Decise di non aprire nemmeno gli altri messaggi e passò da Whatsapp a Telegram, dove non parlava mai con nessuno dei suoi contatti, ma riusciva a tenersi aggiornato al mondo esterno grazie al news feed dell'app.


Dal suo cellulare seguiva principalmente testate giornalistiche di settore in inglese. L’unico giornale italiano che seguiva era la Repubblica, ma solo perché era uno dei pochi giornali italiani che aveva deciso di inserire un News Feed su Telegram. Otis guardò i titoli delle notizie in maniera compulsiva, per cercare di allontanare il pensiero della sua ex dalla sua testa, ma proprio mentre leggeva in maniera distratta, un titolo attirò la sua attenzione.


“San Cupo ai Monti - Spariti 29 bambini durante il viaggio per il primo giorno di scuola”


Otis alzò la testa e guardò Michele.


- Michè, San Cupo è finito sulla Repubblica.

- Si Otì, non si parla altro da stamattina.

- Non ne sapevo niente...


Michele mise in pausa la playstation e guardò stupito l’amico. Dopodichè aiutandosi anche con un forsennato gesticolio delle mani, esclamò:


- Otì, ma che cazzo di giornalista sei!



Illustrazione: Mattia Naliato



Episodio 2:  #SanCupo



Otis diceva su internet di essere un giornalista, ma non era esattamente così. Aveva sì scritto diversi articoli per alcuni blog di settore, ma non aveva mai realmente nemmeno pensato ad iscriversi all’albo dei giornalisti. In verità, nel suo profondo, una parte di lui odiava addirittura la categoria dei giornalisti. Le bufale online, la mancanza di approfondimento, la ricerca continua del titolo perfetto a discapito dell’informazione. Qualche mese prima era riuscito a scrivere un articolo dal titolo “Ho provato l’MDMA durante la messa della domenica” da un grosso giornale con sede in Francia.  







Fu una delle poche volte in cui Otis ricevette una somma in denaro per uno dei suoi articoli, ma dopo aver ricevuto più di un centinaio di insulti sulla pagina Facebook del giornale proprio per il suddetto articolo, aveva perso qualsiasi interesse in questo mestiere. In quell’occasione aveva potuto vedere cosa fosse un circo mediatico e quanto vitali e necessari fossero i commenti negativi e l’indignazione per poter campare in questo mestiere.  


L’odio è la calamita della curiosità. E non dimentichiamoci dell’importanza del tempismo, la vera miccia di ogni opinione. Il tempismo nel saper dire la cosa che funzionai al momento giusto. La cosa che funziona, non la cosa giusta. Un’offesa che crea indignazione funziona ma non è la cosa giusta. Evitare di parlare solo per attrarre l’attenzione su di sé può essere la cosa giusta ma non è la cosa che funziona. Oggi per dominare il tempismo bisogna catturare le parole all’interno di un flusso costante di informazioni. Le parole infatti, proprio come salmoni in un fiume, possono essere catturate, mangiate, masticate e sputate. La rete da pesca dell’era moderna si racchiude in un simbolo che ricorda proprio una rete. #, conosciuto come l’hashtag, il cancelletto delle etichette. Questo simbolo è in grado di far trovare tutte le interazioni umane legate a quella determinata parola in un determinato momento. E la parola del giorno, tra notiziari, social network, chiacchiere da bar e satira era #SanCupo. Nell’arco di tutta la giornata si erano alternati titoli di notizie come:


Il Giornale: Chi a rapito i bambini di #SanCupo ai Monti?

Il fatto: Il Mistero di #SanCupo: La polizia non ha nessuna pista

TeleNorba: Parla il sindaco di #SanCupo: Chiunque sia stato, la pagherà cara

Lercio: Mistero di #SanCupo: i bambini non sono spariti, sono in Molise  



Otis purtroppo aveva qualche problema con il tempismo. Ci mise circa un quarto d’ora per ritornare a casa. Quando accese il proprio mac, aprì immediatamente Twitter per controllare le tendenze. #SanCupo era il terzo risultato, ma solo perché in quel momento stavano trasmettendo una nota trasmissione politica, dove c’era ospite un noto parlamentare dell’opposizione che stava dando la colpa dei noti problemi con gli extracomunitari al noto Stato Italiano che gli forniva il noto stipendio parlamentare. Se quel pomeriggio Otis fosse stato a lavorare da casa invece che a fuggire nella sala prove del suo gruppo musicale ormai sciolto, avrebbe scoperto che proprio San Cupo ai Monti era protagonista di una storia incredibile. San Cupo ai Monti distava solo una trentina di chilometri da casa sua ma era passato circa un anno dall’ultima volta che era stato lì. Qualche anno prima era entrato in contatto con l’associazione che aveva trasformato la casa del poeta Federico Bassi, in una mostra di memorabilia dello scrittore. Federico Bassi, il “Gianni Rodari” del Sud, sembrava un interessante personaggio che meritava più di un approfondimento. Per questo motivo Otis cominciò a frequentare settimanalmente l’associazione che ne conservava il ricordo. O per meglio dire, questo fu “uno” dei motivi che portò Otis a frequentare più assiduamente il piccolo paese del sannio.  



Non passò molto tempo prima di decidere sul da farsi. Ormai erano quasi le nove di sera, era tardi per qualsiasi spostamento. Prese il telefono e contattò Antonio Formato, l’attuale presidente che gestiva il museo di Federico Bassi. Gli scrisse un breve messaggio solo per sapere se fosse in linea. Ma secondo Whatsapp, l’ultimo collegamento era avvenuto circa otto ore prima. Dopo una decina di minuti provò a contattare Egle, una delle ragazze che aiutavano all’associazione. Ma anche lei sembrava essersi collegata per l’ultima volta circa 8 ore prima. Otis aveva un terzo numero di telefono da poter contattare ma esitò.  


L’unica cosa certa da fare era mettersi a letto e impostare la sveglia alle cinque del mattino per poi dirigersi direttamente sul posto. Otis iniziò a prevedere quale possibile scenario sarebbe potuto verificarsi in un paesino così piccolo. Qualsiasi cosa Otis avesse in mente in quel momento, la realtà che si sarebbe rivelata il giorno seguente, non si avvicinava ai fatti nemmeno nel più recondito incubo partorito dal suo subconscio.


Disegno: Leonardo Chironi


Episodio 3: By The Numbers




Sette. Erano ormai sette minuti che risuonava nella camera da letto una canzone Nu Metal impostata come sveglia sul cellulare di Otis. Il Display illuminava la copertina dell’album:  

Una struttura molecolare, il nome della band sillabato come in una tavola periodica, il corpo e la pelle di un neonato e nell’ angolo destro, l’immancabile etichetta “Parental Advisory Explicit Lyrics”. Ancora nessuno aveva premuto il pulsante di spegnimento. Anzi, proprio mentre le corde a vuoto distorte accordate in Re accompagnavano le grida del cantante, Otis stava vivendo all’interno della sua mente uno strano sogno. Qualsiasi cosa stesse sognando Otis in quel momento, sembrava alquanto importante perché non riusciva in nessun modo a prendere coscienza con la realtà. Ogni tentativo di controllo sulla propria coscienza risultava vano. Quando finalmente Otis aprì gli occhi, uscendo dal turbine della propria immaginazione, la sveglia aveva ricominciato la canzone da capo per la quinta volta. Otis, con gli occhi sfuocati, allungò una mano alla ricerca del telefono appoggiato sul comodino ma non lo trovò. Cerco di avvicinare la mano all’altoparlante. Il telefono vibrando era caduto a terra, stranamente illeso. Oto provò a mettere a fuoco. Ci mise circa 4,78 secondi per focalizzare l’ora sul display e ci mise circa 0,23 secondi per formulare la frase di senso compiuto “Oh cazzo!”. Difatti, erano le 7 del mattino, ben 2 ore di ritardo rispetto a quanto aveva programmato di svegliarsi per raggiungere con un minimo di anticipo il paesino di San Cupo.  

Otis si diede una sciacquata veloce, provò anche a lavarsi i denti e pettinarsi cercando di ottimizzare i tempi ma si ritrovò semplicemente con i capelli pieni di dentifricio.

Prima che la situazione gli sfuggisse di mano, si fermò, chiuse gli occhi, trattenne il respiro ed iniziò a contare mentre il sogno che fino a quel momento era così vivido, sparì del tutto, senza lasciargli neppure un barlume di ricordo. Agitato dalla presa di coscienza, sapeva che la rabbia avrebbe potuto prendere il sopravvento da un momento all’altro, facendo sfumare ogni suo possibile tentativo di fare le cose in maniera corretta. Si fermò per un istante e cominciò:


“Uno”, inalò dal naso, soffiò dalla bocca.

“Due”, inalò dal naso, soffiò dalla bocca.

“Tre”, inalò dal naso con più energia. soffiò dalla bocca. Gli balenò un pensiero nella testa per pochi istanti ma cercò di non concentrarsi sulla sagoma sfocata che stava prendendo forma nella sua testa.

“Quattro”, inalò dalla bocca, soffiò dalla bocca.

“Cinque”, inalò dal naso, soffiò dalla bocca.


Otis aprì gli occhi e senza guardarsi troppo intorno, si diresse verso la cucina. Prevedendo che qualcosa sarebbe potuto andare storto, la sera prima aveva appoggiato sul tavolo tutto l’equipaggiamento di cui avrebbe avuto bisogno al suo risveglio. L’equipaggiamento era composto dai seguenti oggetti:



N. 3 chiavi:  

- chiave della porta d’ingresso;  

- chiave della Marbella 1998 Sprint in dotazione da quasi 20 anni e che più di una volta lo aveva lasciato "appiedi" in passato, ereditata da un vecchio zio che aveva optato per una panda color giallo ottimista;  

- chiave della vecchia sala prove dove Ottone Otis Sinici continuava ad andare spesso e volentieri da solo, dato che i vecchi membri della sua band avevano intrapreso strade che poco avevano a che vedere con la musica. Quel luogo era l’unico posto in cui riusciva a distaccarsi da ogni possibile connessione online e dal resto del mondo in generale.  





N. 4 accendini: Era tipico di Otis chiedere un accendino per poi metterselo in tasca involontariamente. Il suo record è stato di 9 accendini nell’estate 2013, durante il concerto dei Fuzz Orchestra alla festa della Birra di Ceppaloni.




N. 1 zaino:

Contenete il computer portatile con annesso caricabatterie e diversi quaderni, oltre che a del materiale stampato la sera precedente, prevalentemente pdf di articoli giornalistici, una piccola rassegna stampa di quello che era accaduto nelle ultime 24 ore. Materiale stampato per precauzione. Nel 2017 nessun dispositivo a batterie con una connessione internet sarebbe stato in grado di reggere più di cinque ore di autonomia. Soprattutto a San Cupo, uno dei paesi del sud Italia con la minor copertura di rete della provincia. Meglio stamparsele le cose importanti.  




N. 1 marsupio attrezzato:

All’interno l’immancabile taccuino con penna, un paio di pacchi di fazzoletti di carta, un paio di chiavette usb con formattazione FAT32, il Kit del fumatore accanito spilorcio composto da tabacco, cartine e filtrini.


Quella mattina non c’era tempo per preparare il caffè. Otis si diresse direttamente sulla strada, alla ricerca della sua macchina. A distrarlo però, un insolito movimento all’interno delle strade. Sembrava quasi la giornata del mercato settimanale, tanto era il traffico che riversava sulla via. Otis ebbe un brutto presentimento. Aprì il portabagagli e ci appoggiò lo zaino con computer e materiale stampato. Il portabagagli di Otis, data la poca affidabilità dell’autovettura, conteneva sempre un mini kit di sopravvivenza alquanto grezzo, costituito da:



- una tenda montabile che poteva contenere un massimo di due persone;

- un sacco a pelo, delle bottigliette d’acqua (ormai poco potabili);

- un ombrello marrone;  

- un paio di giubbotti di scorta.  


Mise in moto la macchina, parcheggiata in via Chiassetto Stiscia, zona Trappeto (termine di origine salentina che stava a significare Frantoio sotterraneo, dato che il borgo in questione, un secolo prima era popolato da agricoltori e produttori d'olive) del comune di Loggia San Felice a 28,7 Km da San Cupo ai Monti e fece qualche manovra per uscire da una fila di auto parcheggiate, manovra che gli capitava di fare solo il 15 Maggio, festa patronale e anniversario della fondazione della piccola chiesa situata a 200 metri da casa sua. Otis uscì dalla piazza e imboccò una stradina secondaria di campagna con cui poteva risparmiare all’incirca 8 Chimoletri (tenendo però in considerazione che la velocità dell’autovettura non avrebbe superato i 50 Km/h data la strada impervia e franosa).





Trenta Chilometri sembravano facilmente raggiungibili in una mezz'oretta, ma non quel giorno. Quel giorno le impercorribili curve e i tragitti sterrati che collegavano San Cupo al resto del mondo, si ritrovarono ad ospitare centinaia di autovetture che, confuse da navigatori satellitari in difficoltà,   si riversavano una sull’altra in una sorprendente e destabilizzante coda. A risentirne maggiormente erano quelle persone che per lavoro, passavano su quelle strade deserte tutti i giorni, chi per raggiungere il proprio cantiere, chi per arrivare alla fabbrica dei raccordi meccanici del paese vicino, chi invece per offrire riparazioni idrauliche. Quella mattina fu il caos per tutti e quando Otis se ne rese conto, a distanza di una dozzina di Chilometri dall’arrivo a San Cupo, ormai era nel bel mezzo della coda, bloccato, senza possibilità di tornare indietro, con l’unica scelta di proseguire avanti a passo d’uomo fino all’arrivo in paese.  


Otis ebbe un attimo di esitazione, dopodiché, in maniera del tutto automatica, per evitare che una raffica di imprecazioni si unissero all’ afonico accompagnamento musicale che i clacson stavano regalando in quelle strade di campagna, prese a caso una delle penne USB e la infilò nello stereo. Fino a quel momento Otis aveva cercato di raccogliere notizie dalla radio ma per circa un ora di tragitto, nessun indizio, nessun sospetto, una montagna di supposizioni basate sugli abitanti del luogo, ancora nessuna dichiarazione ufficiale dal maresciallo Parodi o dal commissionario del nord che seguiva il caso, i pochi giornalisti che erano riusciti a portare il microfono alla bocca del commissario o del sindaco non ne avevano ricavato nulla. Ma ora, con la presa di coscienza sull’impossibilità di giungere a destinazione, Otis decise d’impulso di passare dall’informazione radiofonica alla musica. Dopo aver inserito la penna USB, iniziò di nuovo a contare. Contare i numeri sembrava il miglior modo per rimanere calmi e il suono dello stereo avrebbe aiutato a gestire meglio la situazione in mezzo al disordine e all’agitazione che sovrastavano ovunque lungo il percorso.

Mentre lo stereo visualizzava la scritta “Loading...” Otis chiuse gli occhi, si fermò per un istante e cominciò:

“Uno”, inalò dal naso, soffiò dalla bocca.  

“Due”, inalò dal naso, soffiò dalla bocca. Gli balenò un pensiero nella testa per pochi istanti ma cercò di non concentrarsi sulla sagoma sfocata che stava prendendo forma nella sua testa.

“Tre”, inalò dal naso, soffiò dalla bocca. Partì una canzone in shuffle dallo stereo.

“Quattr--”, aprì gli occhi riconoscendo la canzone. Lo schermo dello stereo visualizzava “Waiting” dei Porcupine Tree. Quel qualcosa nella sua testa prese forma in un lampo.


Waiting to be born again,

Wanting the saddest kind of pain,

Waiting for the day when I will crawl away,

Nothing is what I feel,

Waiting for the drugs to make it real,

Waiting for the day when I will crawl away,

Waiting to be disciplined,

Aching for your nails across my skin,

Waiting for the day when I will crawl away...


- - - 


Aspettando di rinascere,

Volendo il dolore più intenso,

Aspettando il giorno in cui stricierò via,

Non sento nulla,

Aspettando le droghe che lo rendano reale,

Aspettando il giorno in cui stricierò via,

Aspettando di essere disciplinato,

Dolorante per via delle tue unghie sulla mia pelle,  

Aspettando il giorno in cui stricierò via...



Otis perse la lucidità. Durante quegli istanti impetuosi, aprì lo sportello dell’auto ormai bloccata nel traffico e uscì fuori dall’autovettura con un balzo. Si diresse entrambe le mani alla testa. Strinse i denti. provò a respirare dalla bocca ma un rantolo gli attraversò la gola e lo portò a tossire. Otis si piegò su sé stesso mentre si portava una mano alla bocca per coprire qualsiasi tipologia di liquido corporeo che stava fuoriuscendo da essa. Non riuscì più a mettere a fuoco le cose. Si stropicciò gli occhi più volte mentre tutto ad un tratto i ricordi del suo sogno ritornarono a galla da qualche zona remota del suo subconscio. Ad evocarli era stata proprio quella canzone. Provò a mettere a fuoco. Ci mise circa 4,78 secondi per focalizzare di nuovo la strada e ci mise circa 0,23 secondi nel notare una persona che correva verso la sua direzione. Con il sole negli occhi Otis riconobbe solo il vestiario dell’uomo. Si trattava di un ordinaria tenuta sportiva da corsa domenicale ma il sole non gli permetteva di focalizzare l’attenzione sui connotati del volto. Il corridore si avvicinò con passo svelto verso Otis rallentando passo dopo passo fino a fermarsi ad una mezza dozzina di metri. Quando si fermò, l’uomo si chinò per riprendere fiato e solo quando la sua sagoma si spostò dal sole Otis riuscì ad intravedere dei lunghi capelli mantenuti da una fascia intorno alla testa, una lunga barba folta e un paio di occhiali da sole. Otis guardò il misterioso sportivo meravigliato, ma dopo aver identificato quel volto a lui noto, esclamò:


“Michè!”


Michele fece cenno con la mano dell’impossibilità di rispondere almeno fin quando l’ossigeno non fosse ritornato al cervello permettendogli di formulare una frase di senso compiuto. Sette secondi. Sette. Poi finalmente Michele rialzò lo sguardo e con una faccia insolita e minacciosa disse con tono serio:  


“Torno da San Cupo Otì...”


Otis realizzò da quale direzione Michele fosse sbucato, si trattava di un sentiero interno, nessuna strada batuta. Michele era solito conoscere un sacco di vie interne data la sua passione per la corsa. Il fatto che fosse andato a piedi e tornato era più che plausibile perché con il percorso interno, che includeva anche delle piccole arrampicate, si poteva risparmiare metà del tragitto rispetto alla strada asfaltata. Trepidante d’emozione Oto Sinici, riuscì solo a spalancare gli occhi e chiedere:


“...E quindi? Dimmi!”


Michele scosse la testa in segno di disapprovazione e si avvicino di un metro. Otis non aveva mai visto la faccia del suo amico in quel modo, sembrava quasi il volto di un uomo che aveva incontrato il diavolo in persona. Michele lo guardò negli occhi mentre continuava, più lentamente adesso, a riprendere fiato, si avvicinò alla macchina e aprì il bagagliaio mentre Otis lo guardava immobile a due passi da lui. Infilò le mani nel vano dell’auto e tirò fuori la tenda di Otis. Prese poi la borsa che conteneva la tenda e passò ad Otis il suo zaino. Otino, confuso, afferrò lo zaino ma non ebbe il tempo di chiedere il motivo di questo gesto. Il corridore si avviò di nuovo verso la zona boscosa da cui era comparso, girato di spalle, in direzione del sentiero fitto di alberi, rami ed erba.


“Otì, se vuoi sapere cosa diavolo sta succedendo, seguimi. E alla svelta!


Immagini: Roberto Guerinoni


Capitolo 4:  コモレビ / アスパラゴ  


 

Non fu semplicemente l’odore della quercia o il camminare sul terriccio. Non furono neanche le ombre delle foglie che filtravano il sole nella sempre più fitta vegetazione. Quello che attivò la memoria di Otis fu che quella strada erbosa che aveva deciso di percorrere (lasciando la macchina nel mostruoso traffico) non era affatto una strada nuova. Solo una decina di anni prima, Otis era già stato lì, proprio con Michele. Fu durante il periodo delle superiori, il penultimo anno della scuola di ragioneria. Otis scelse l’istituto tecnico non perché la cosa lo attirasse. Ad essere sinceri ancora oggi ogni qualvolta pensa alla figura del ragioniere, Otis vede l’immagine del ragionier Ugo Fantozzi, un impiegato mediocre, con una vita benestante ma assolutamente inutile, senza nessuna soddisfazione fisica o mentale. Otis non sarebbe mai voluto diventare un ragioniere. La sua aspirazione era quella di fare un liceo artistico ma questo avrebbe comportato un viaggio più lungo da casa alla città che ospitava la scuola, un ostacolo economico che avrebbe inciso sul bilancio familiare. E così, data la poca motivazione nel frequentare le lezioni, Otis finiva quasi sempre col trovare un pretesto per marinare la scuola.

Otis si guardò attorno: rami spezzati, qualche cicca di sigaretta, erbacce, cartacce. Il terreno interno era ancora troppo vicino alla civiltà automobilistica che era solita passare in quei sentieri interni al fine di trovare asparagi, le Liliaceae più ricercate di sempre, soprattutto per gli amanti della cucina.





"Ti ricordi quando venimmo a raccogliere gli asparagi quella volta?" Michele, senza voltarsi aveva cominciato a rimembrare il passato. Ma Oto, nonostante avesse concesso un po' di tempo alla nostalgia, non aveva nessuna voglia di parlare d'asparagi. Con lo zaino in spalla accellerò il passo fino a raggiungere di fronte l'amico e alzando leggermente le braccia, lo bloccò.


"Michè, mi vuoi dire che hai visto a San Cupo?".

Michele non fece segno di fermarsi, scansò l'amico che rimase immobile e proseguì verso un sentiero sempre più fitto di vegetazione. Otis incrinò un sopracciglio mentre guardava svanire l'amico dietro le querce.  


"E aspettami maledizione!" Otis riprese a camminare con passo svelto. Entrò in un cespuglio rincorrendo l'amico, ma non riuscì a capire esattamente quale direzione prendere, perdendolo così di vista.


"Otì, quello che ho visto a San Cupo è semplicemente la verità". Otis ascoltò il suono delle parole dell'amico, senza riuscire a vederlo ma capendo di dirigersi verso est, in un'altra zona dalla fitta vegetazione.


"Quale sarebbe questa verità Michè?" Senza smettere di camminare Otis continuava il discorso così da capire in quale direzione procedere.


" "La verità che nessuno vuole sapere… loro si sono ripresi il proprio nome… ed è colpa loro se i bambini sono spariti!""  


La voce proveniva da dietro un'enorme roccia. Otino si diresse sulla roccia e raggirò il masso ma ancora non riuscì ad intravedere l'amico. Mentre i primi affanni da tabagista cominciavano a farsi sentire, Otis interloquì ancora, alla ricerca della voce.  


"Colpa di chi? Chi sono loro?"


Otis proseguì senza ottenere risposta. Michele era sparito. Nonostante qualche titubanza sulla strada da percorrere, Otis proseguì in un piccolo e breve sentiero piano, dove il terreno sembrava più percorribile.


Forse fu per una mancanza di ossigeno o semplicemente per via di come le ombre stavano cominciano a coprire la luce del sole ma Otis provò un senso di Deja Vù. Tutto ciò che stava facendo, tutto il percorso che stava esplorando, sembrava un percorso già battuto in passato. Ed il ricordo era vivido come se l'episodio fosse successo il giorno prima. Non ricordava però, quando effettivamente tutto ciò fosse accaduto e la sensazione di già visto cominciò a confonderlo. Provò ancora a chiamare l'amico ma nulla accadde. Otis proseguì per qualche altro minuto mentre il fiatone si faceva sentire sempre più forte. Quindi, dopo aver camminato abbastanza, decise di fermarsi. Mentre metteva le mani nel suo marsupio, cercando di rollarsi una sigaretta, provò per l'ultima volta a chiamare l'amico, questa volta cercando di consumare più energie nell'atto di gridare.  


"Michè! Di chi è la colpa della scomparsa dei bambini! Chi sono loro?!"

"Lo sai chi sono!" Otis si girò di scatto e vide l'amico appoggiato su una pietra di medie dimensioni, a terra, di fianco al corridore, la tenda proveniente dal bagagliaio della sua Marbella. Michele guardava l'amico come se lo stesse aspettando già da un po'.

"Loro! Lo stato! Il sistema, chiamalo come vuoi!" Mentre diceva così, Michele agitò le mani quasi per far capire all'amico di quanto fosse stupida la sua domanda. Otis lo guardò tentennando e sbattendo gli occhi.  

"Ma che diavolo vuol dire?"  

"Ah Boh…! rispose Michele cominciando a ridere fragorosamente.  

"Tu sei il giornalista Otì, che ne so io, sei tu che devi indagare! Ahah!"


In quel momento e solo in quel preciso momento, Oto Sinici si rese conto di essere stato preso per il culo da uno dei suoi migliori amici e che quest'ultimo stava ridendo seduto su un masso. C'è da dire che, in un primo momento, non digerì affatto la cosa, soprattutto perché si era allontanato un bel po' dalla macchina, con addosso il pesante zaino. Ma non ebbe modo di prendersela. Non poteva, conosceva l'amico fin troppo bene e sapeva che una cosa del genere era quanto mai ordinaria. L'ironia irritante di Michele era uno dei tanti compromessi che aveva accettato per portare avanti un amicizia che durava da quasi una vita intera. Otis riprese a rollare la sua sigaretta, mentre riprendeva fiato.  


"La verità Otì è soggettiva… la mia verità non sarà mai la tua verità… vuoi sapere la verità? Cercala! E respira ossigeno invece di sta sempre a rollà mezze canne!"


Mentre Michele continuava a ridere, Otis faceva il possibile per non rispondere male all'amico. Ma proprio mentre stava per proferire parola, si fermò. Riecco ancora quel sogno di qualche ora prima che riprendeva forma nella sua testa, con una vividezza impressionante.  

Otis quindi, raccolse i ricordi a sé e accennando un sorriso disse semplicemente:


"Michè, nel sogno di stanotte c'eri anche tu…"


Michele alzò lo sguardo al cielo, dopodiché guardò il suo amico. Gli occhi gli brillavano.


"Otì mi fa piacere, ma spero tanto che non stavamo facendo zozzerie… io i sogni tuoi li conosco bene!"

"Macchè Michè… Nel sogno tu eri l'assassino!"


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Capitolo 5:  ontwaken



"L’amore accade se hai voglia di affezionarti alle cose, un istinto naturale che ho imparato a sopprimere. In quelle condizioni la mia mente era fin troppo aperta per sopprimere me stesso. Ci si fa del male quando si pensa troppo. E stai li tremante, davanti al bancone di una pizzeria. La temperatura li fuori è di pochissimi gradi, il naso fuori non ce lo cacci se non per fumarti una sigaretta. Le dannate sigarette che si fumano per noia. Fumare per noia è una delle giustificazioni più basse di un fumatore. Usare la scusa delle rabbia è ancora accettabile, ma quando arrivi a fumare per noia è perché non vuoi uscirne, perché non te ne frega più nulla. Passa mezz'ora e sei alla terza sigaretta. La noia ha tanti modi di manifestarsi. Nella mia vita, attendere è una delle cose che ho fatto di più in assoluto. Attendere un lavoro, attendere gli altri, attendere per i ritardi degli altri. E' una cosa che mi crea un ansia incredibile. Ancor di più se sono io in ritardo più degli altri. Mi da fastidio che qualcuno attende per me. Ma è tutto fiato sprecato, paranoie di chi è ansioso. Nessuno se ne frega di te... e se gli altri sono li ad aspettarti è solo per una questione di interesse."



Mentre camminavano già da diverso tempo, salendo e scendendo dai cumuli di terra delle colline che separavano Otis e Michele dall'arrivo a San Cupo, Otis cercava di ricollegare lo strano sogno avvenuto qualche ora prima. Stralci di sogno, a volte vividi e sfuggenti prendevano forma agli occhi di Otino e quando ciò accadeva, cercava di raccontarlo all'amico, incuriosito anch'esso delle strane immagini partorite dal subconscio.


"Ecco.. mi ricordo che mi asciugavo le lacrime mentre cercavo di tirar fuori tutto quello che avevo dentro. Di fronte a me c'era ancora lei a guardarmi con uno volto… come dire… sterile… silenzioso, alienato, spento insomma. E continuava a perdere sangue dal naso. "

"Ma chi… Rachele?"

"Si… era di nuovo lì, con i suoi capelli neri lunghissimi. Continuavo a parlare cercando di riuscire in tempo a dire tutto, prima che tutto cambiasse forma da un momento all'altro"


Mi stavo convincendo di qualcosa di brutto... una di quelle brutte frasi che iniziano a girarti per la testa e non ti lasciano libero per un bel po’. La frase era "E sarà la mia paura di perderti, il motivo per cui ti perderò"


"Poi, mi pare che avevo avvicinato una mano verso di lei. In un primo momento ero intimorito. Esitavo, ma allo stesso tempo ero spinto dal desiderio di toccarla. Nel sogno la mia mano non tremava come al solito"

"Si vede che era un sogno!" Michele ironizzò sulla cosa.

"Proprio mentre le stavo sfiorando i capelli, è sparita… e con lei tutto lo scenario circostante. In quel punto ho preso coscienza del sogno lucido."

"E che è sto sogno lucido?" Chiese Michele con un tono sbeffeggiante

"Il sogno lucido è quando ti rendi conto di trovarti in un sogno… non ti è mai capitato a te?"

"No mai, quando io dormo non sogno niente."

"Ma dici sul serio?"

"Eccerto che dico sul serio. Chiudo gli occhi e poi la mattina dopo mi sveglio, ma non mi ricordo mai niente"

"Che cosa brutta…"

"Ma quale cosa brutta, così non faccio mai incubi e sto bene… tu stai sempre a sognare, non distingui nemmeno la realtà dalla fantasia ormai..."

"Lo vuoi sentire il sogno oppure no?"

"Si ma arriva alla parte dove ci sono io!"

"E ci sto arrivando! Dammi un secondo… allora: Mi guardavo attorno confuso per un po' e intanto camminavo. Mi girai, e d'un tratto ero nel sentiero per una foresta o forse era un bosco… Da lontano ho intravisto qualcuno ma non riuscivo a focalizzare, così ho accelerato il passo. Il cielo… si, ricordo che cambiava continuamente… le nuvole si muovevano in maniera veloce. Poi è calata la notte, di colpo. Ma c'era una strana luce colorata proveniente dal cielo… d'un tratto tutto divenne celeste, poi grigio, poi nocciola… poi verde, insomma si colorava in una maniera strana e quel riflesso colorava anche gli alberi mentre mi avvicinavo sempre di più alla ricerca di quella sagoma vista in lontananza.  



Alla fine ho camminato così tanto che mi sono ritrovato in un campo di grano vastissimo… all'inizio non c'era nulla intorno a me e poi, in lontananza… una casa, comparsa nel nulla in quel campo di grano. Non sembrava la classica casa di campagna, grande, piena di spazio… ma sembrava una casa proveniente da un borgo di paese, costruita attorno ad un muro od una strada. Aveva una forma particolare e… ondeggiava."

"In che senso ondeggiava?"

"Si muoveva, come il riflesso nell'acqua di qualcosa… era informe, sembrava un ologramma… non so come spiegartelo. E c'era un cartello davanti la casa, un cartello sorretto da un muro di pietra… con una scritta indecifrabile. Mi sono avvicinato per provare a leggere ma non riuscivo a distinguere in quale lingua fosse scritto. Stavo quasi per entrare dentro la casa quando ad un certo punto sento una risata dietro le mie spalle. Vado per voltarmi e vedo una signora anziana, seduta su di un ceppo di legno, in mezzo al grano colorato di viola dalla strana luce del sole. Si trattava di una vecchia signora del nostro paese. Te la ricordi Miluccia?"

"Carmeluccia? La nonna di Peppo Trepacche?"

"Esatto, quella vecchia signora che abitava da sopra la piazza e che parlava sempre di quando era ragazzina. Vestiva sempre con i vecchi abiti caratteristici del paese, con quelle grosse gonne ornamentali verdi e bianche e portava in testa sempre un fazzoletto per il sole. Ma che fine ha fatto poi quella signora? Non la vedo ormai da anni."

"Non ti so proprio dire Otì.. un giorno semplicemente è sparita, ma prima che ce ne accorgessimo tutti, passarono dei mesi. Nessuno fece caso alla sua scomparsa. La gente che passava davanti il vico di casa sua semplicemente era convinta che Carmela si trovasse dentro casa. Lei viveva da sola ormai, nessuno se ne curava più di tanto di lei. Se è per questo non ho più visto nemmeno Peppo perché dopo la scuola se ne è andato in Svizzera a lavorare come manovale. E quindi?"

"E qui arriva il bello: Carmelina era seduta sulla pietra e rideva, rideva fragorosamente! Mi sono avvicinato per cercare di capire perché stava ridendo. Lei senza alzarsi mi fissava e rideva. Poi mi indicava con la mano e rideva. Rideva tantissimo. Il cielo cominciò ad oscurarsi e la sua voce sembrò echeggiare per tutto il campo. Poi dietro Miluccia, sei comparso tu, con un grosso coltello e le hai tagliato la gola mentre lei continuava a ridere!"

Michele si bloccò di scatto e guardò Oto dritto negli occhi. Rimase in silenzio per pochi istanti. Dopodichè gesticolando con le mani in tono iroso esclamò

"Otì ma che cazzo ti fumi pe fa sti sogni macabri! Madò che schifo! Ma che cavolo!"

"Rilassati Michè! Era un sogno, un frutto del subconscio, non vuol dire nulla di nulla, sono immagini a caso"

"E si ma perché mi fai ammazzare le vecchie nei sogni tuoi? Ma che cavolo!" L'immagine del sogno diede un senso di fastidio nelle viscere di Michele e questo era chiaramente presumibile dalle smorfie che il suo volto stava esprimendo in quel momento.

"Vuoi sentire come finisce il sogno?"

"No, in realtà non lo voglio sapere"

"Ma non vuoi sapere della f..."

"Otì, non lo voglio sapere! Il sogno è tuo ed è meglio se te lo tieni per te. Certe cose è meglio non raccontarle madonna mia…"

"Ok, ok! Me le tengo per me…" 


Otis sghignazzava mentre Michele continuava a generare dissensi tramite la sua espressione facciale.



- - -


Passarono una quarantina di minuti camminando, ricordando il passato, ricordando le vecchie avventure con gli amici, le zingarate nei paesi limitrofi dove con Stecca, Joshua, Pulp e il Biondo (i soprannomi dei componenti del vecchio gruppo di avventure) e si partiva a girovagare tra i paesi limitrofi. Padunno, Rocca san Guglielmo, Monte Sauro, San Cupo, San Remo irpino, Monte Fiaschi. Sempre partendo dal loro paese, Loggia San Felice. D'un tratto, Michele appoggiò a terra la tenda che si era portato dietro fino a quel momento. Otis si fermò e osservò l'amico.


"Otì, io torno indietro perché tu c'hai un passo troppo lento e a me va di correre."

"Ma Michè a sto punto accompagnami, quanto sarà, un altra oretta a piedi?"

"Dai, prenditi la tenda e continua su questa strada. Lasciami le chiavi, ti porto la macchina a casa"

"Beh, mi faresti una grossa cortesia così"

Michele, si accovacciò a terra e cominciò a fare dello stretching pre-corsa. Otis prese una boccata d'aria mentre Michele cominciava a camminare sul posto.  

"Io mi parto, buona fortuna alla ricerca della verità… e mi raccomando, smetti di sognarti vecchie persone morte!"

"Grazie ancora Michele…"


Michele si allontanò a passo svelto, sparendo sotto gli occhi di Otis dopo circa 20 secondi. Otis alzò gli occhi per guardare lo splendido scenario che aveva di fronte. Gli alti alberi secchi, senza troppe foglie ormai non erano più uno scudo del sole e si poteva intravedere da non molto lontano la chiesa madre al centro di Piazza de Nicola, la piazza principale di San Cupo ai Monti. La città sembrava poco lontana, riuscì ad intravedere l' altissimo crocifisso retroilluminato, visibile da chilometri di distanza, una sorte di segnale da far invidia a quello usato dalla polizia di Gotham. Ma non fu l'unica cosa che gli balzò all'occhio in quel momento: Un enorme nuvola di fumo nero, scurissimo, proveniente sempre dal centro del paese, stava oscurando il cielo. Otis finalmente accelerò il passo, mentre il vento dell'oria smuoveva gli alberi sempre più velocemente.  






Capitolo 6: OBEY




Artwork: Girolamo Berto

- Generazioni? Vuoi davvero che ti racconti della mia generazione? E a cosa ti serve? A comprendere le differenza con la tua? C'è solo una cosa da dire: lascia perdere. La vecchia generazione conquistava con naturalezza e in maniera del tutto spontanea cose che oggi per noi non sono che assolute certezze. Potrei dare la colpa allo stato… è facile dargli la colpa. E' un entità intangibile, che ha un rappresentante che è completamente all'oscuro delle contorte dinamiche dei suoi predecessori, che deve solo saper governare il paese. Governare il paese.. pff.. hai mai letto sul vocabolario cosa c'è scritto alla voce "politica"? La definizione di politica è "l'arte di saper governare gli altri". Non puoi trovare le differenze… ma non perché sei incapace, ma solo perché non potrai mai sapere cosa vuol dire essere ingannati da quelle che consideravi certezze. Se già da piccolo le tue certezze crollano, inizi a distinguere il bene e il male con più freddezza. Ma se le tue certezze crollano in età adulta, dopo aver avuto sentori e smentite per tutta la vita, significa non credere più a nulla. Una famiglia, un lavoro, dei figli, una casa. Per me sono solo castelli di sabbia costruiti a pochi centimetri dalle onde. La mia generazione è stata educata male. La mia generazione è stata dominata dall'inganno di uno stato. Non c'è più modo di uscirne… non c'è più modo!



Dagli altoparlanti della Casa Museo Bassi, situata in una delle strade degli stretti borghi di San Cupo ai monti, veniva trasmessa una delle ultime interviste di Federico Bassi a "Sottovoce", il programma di Gigi Marzullo in onda in tarda notte sulla Rai. Lo scrittore nato a San Cupo ai Monti, ormai in età avanzata, raccontava la sua vita alle telecamere, non sottraendo agli spettatori un' evidentissima critica allo stato italiano che fino a quel momento lo aveva snobbato, dimenticato e riciclato come un qualsiasi elettrodomestico desueto della generazione post millenium bug. Alla fine degli anni '90, un verso di una sua poesia venne citato da una serie di spot di una nota catena di rivenditori di elettrodomestici. I meno giovani sicuramente ricordano lo spot: un uomo sulla settantina con dei simpatici baffi bianchi, vestito con un vecchio giubbotto beige e con in testa un simpatico berretto dello stesso colore, cercava di spiegare a Gianni, un suo coetaneo, quanto fosse importante saper prendere le cose con filosofia. La struttura di tutti gli spot (ne andarono in onda 3 anche se ne furono girati 10) era la seguente:

Bruno e Gianni si incontrano per caso in un luogo a caso del paese (un bar, sulle scale di una palazzina, la piazza del paese), Bruno chiede a Gianni come sta, Gianni gli racconta un suo problema, Bruno gli da sempre una soluzione alquanto bizzarra, Gianni lo ringrazia ridendo ed infine Bruno gli risponde "A cosa serve l'amicizia se non ad illuminare il sentiero della ragione?"

Dopodiché partiva l'offerta del giorno, che poteva essere un televisore Phillips o una lavastoviglie Whirpool. La frase pronunciata da Gianni proveniva proprio dalla poesia "Il sentiero della ragione" di Federico Bassi, scritta quando Federico non aveva nemmeno 20 anni. Il poema è dedicato al padre che, morente sul letto di morte, combatte con le ultime forze contro la demenza senile che lo stava uccidendo proprio sotto agli occhi del figlio. Riportiamo qui di seguito la poesia per una maggiore chiarezza della faccenda.


Il sentiero della ragione


A cosa serve l'amicizia se non ad illuminare il sentiero della ragione?

A cosa serve la ragione se non a diffidare dall'ingenuità?

A cosa serve l'ingenuità se non a sorridere senza paura?

A cosa serve la paura se non a smuovere le carovane della coscienza?

A cosa serve la coscienza se non a guardare dentro l'oblio della mente?

E tu mio caro padre, muori davanti ai miei occhi in lacrime, dimenandoti nell'oblio, sbandando nella carovana che ha smarrito il sentiero. Ed io porgo una mano per ricondurti alla luce, mentre tu accarezzi finalmente la vellutata seta della scura notte eterna.  


Questa poesia venne utilizzata come Epitaffio sulla tomba del padre, Francesco Bassi, non da subito ma dopo la morte di Federico, come forma di "arricchimento culturale" per la città di San Cupo. Federico non aveva mai tollerato che suo padre venisse sepolto e non cremato come aveva sempre desiderato. Purtroppo, Silvia Goffredi Bassi, madre di Federico, in quegli ultimi mesi in cui vedeva il marito spegnersi con la malattia, cercò conforto non nei parenti ma nella voce dell'anziano parroco del paese, Don Orione Razzi, il quale considerava più sensata una sepoltura che una blasfema cremazione. Francesco Bassi inoltre non fece mai testamento scritto ma solo verbale, avendo pochissima stima della legislatura italiana. Questo ovviamente generò una faida interna all'interno della famiglia Bassi che non era mai terminata. L'unico risultato di questa faida fu che i quattro figli di Francesco e Silvia passarono tutta la vita a farsi la guerra uno contro l'altro per le proprietà. Federico Bassi spese gli ultimi anni a casa della madre, per evitare che qualcuno dei suoi fratelli riuscisse a raggirarla per farle firmare delle carte e prendere possesso del suo terreno. Fu proprio durante quegli anni che Federico, mentre era intento a cenare con sua madre, ascoltò lo spot della catena di rivenditori di elettrodomestici. Appena terminato lo spot gli venne un senso di vomito che gli fece rivoltare le budella. Non c'era nessuna autorizzazione ad usare una sua frase a cui era così legato emotivamente all'interno di uno spot per lavatrici. Ci mise circa quattro giorni per riuscire a parlare con un rappresentante legale della catena di negozi, il quale lo fece attendere altre 48 ore prima di formulare una carta scritta in cui si, venivano elargite delle scuse, ma venne anche sottolineato il fatto che le parole in questione non fossero una proprietà intellettuale dello scrittore. Inoltre nella lettera veniva offerta allo scrittore una somma di diversi milioni di lire per poter utilizzare la frase in questione nei successivi sette spot in produzione. Ovviamente Federico Bassi non accettò mai quei soldi e ne fece un caso mediatico. Il risultato finale fu che la catena di rivenditori cambiò la frase pronunciata dal baffuto Bruno (il cui nome venne poi cambiato in Tonino) con una frase sul profumo della vita e in pochi mesi l'episodio fu dimenticato. Federico Bassi era stato intervistato a "Sottovoce" circa sei anni dopo quell'episodio, l'ultimo episodio nel quale i media riconoscevano la sua figura di scrittore e poeta, prima di gettarlo nel dimenticatoio dove giaceva il patrimonio culturale della nazione.  


Otis era appena entrato nel salone della Casa Museo Bassi con zaino, borsello e la tenda a sacco addosso. All'entrata del museo era possibile vedere un video della durata di 45 minuti messo in loop da un lettore DVD. Il video era un documentario realizzato da alcuni ragazzi di San Cupo specializzati in video editing che avevano realizzato il documentario per la modica cifra di 700 €, praticamente gratis visto che la realizzazione (che comprendeva riprese esterne, interviste e colonna sonora) aveva richiesto 5 mesi di lavoro. Otis conosceva i ragazzi che avevano fatto il video, in passato anche loro avevano avuto una band e spesso si erano ritrovati sullo stesso palco per partecipare ad uno dei tanti rock contest dei paesi vicini, contest che poi nessuno di loro aveva mai vinto.


Si girò intorno: non aveva mai visto così tante persone al museo. La gente guardava i cimeli della famiglia Bassi con curiosità, in attesa di sapere novità sulla misteriosa scomparsa dei bambini. c'erano un sacco di oggetti antichissimi, dai vecchi arnesi per lavare i panni a mano fino ad un vecchio "strigulatur'", una zangola con manovella attaccata ad un secchio di legno per la produzione del burro fatto in casa. Fu proprio mentre stava guardando una vecchia macina in un angolo della stanza che Otis intravide Antonio Formato, una delle persone che gestiva la casa museo Bassi. Alto poco più di un metro e ottanta con una folta barba e gli occhiali, vestito con una camicia bianca, una cravatta e una giacca, Antonio stava guidando alcune persone in giro per la casa, forse era il quindicesimo tour della giornata. La notizia della sparizione aveva stravolto i piani di chiunque in paese, ma, fortuna nella sfortuna, aveva aperto alcune possibilità. Ad esempio era stato possibile racimolare un po' di denaro per l'associazione che gestiva da anni quel posto e che nemmeno durante il periodo d'agosto aveva mai visto così tante persone. Tantissime persone. Otis provò ad avvicinarsi ad Antonio ma nonostante ripetuti tentativi e cenni con la mano dalla poca distanza in cui i due erano, l'uomo risultò troppo indaffarato a parlare con gli ospiti del museo per poter rivolgere la parola ad Otis. Così, sparì in un altra stanza, seguito da una folla di curiosi che ne dissolsero persino l'ombra. Oto provò a seguirlo ma si rese conto pochi minuti dopo che qualsiasi tentativo di avvicinamento sarebbe stato alquanto vano. Cambiò stanza insieme alla folla: si ritrovò nella piccola sala da pranzo della famiglia Bassi. Una grossa tavola nel mezzo di una spoglia stanza, con una cucina non troppo grande ma che in passato era stata in grado di sfamare tutti i giorni 6 persone più un quantitativo di cani e gatti che nel corso degli anni avevano allietato le giornate della famiglia. I cani in tutto furono tre, i gatti, forse più di 200. Particolarmente interessante erano alcuni quadri appesi nella stanza.



Si trattava di bozzetti e schizzi dello scrittore, presi dagli archivi personali e appesi per tutta la casa. Ma lo strano disegno all'interno della piccola cucina richiamò l'attenzione di Otis. Il disegno, realizzato in bianco e nero, mostrava una strana foresta che si diramava per tutta la superficie del foglio. Gli alberi di questa foresta erano informi e sembravano provenire solo da un recondito anfratto della mente. Ciò che però gli balzò all'occhi era una piccola sagoma rossa al centro del viale della foresta. Per quanto le minuscole dimensioni non davano molto spazio all'immaginazione non si trattava di un semplice puntino rosso. Otis si avvicinò al disegno appeso al muro e col naso a pochi centimetri dal foglio notò qualcosa. Proprio mentre stava mettendo a fuoco, Otis ebbe una fitta al fianco sinistro. Senza dare segni di dolore, strinse solo leggermente gli occhi mentre passava con la mano sinistra sulla parte dolente. Antonio formato continuò a parlare mentre camminava. La sua voce definita cominciò a sfuocarsi mentre il dolore di Otis si intensificava. Strinse i denti. provò a respirare dalla bocca ma un rantolo gli attraversò la gola e lo portò a tossire. Si piegò su sé stesso mentre si portava una mano alla bocca per coprire qualsiasi tipologia di liquido corporeo che stava fuoriuscendo da essa. Non riuscì più a mettere a fuoco le cose. Si stropicciò gli occhi più volte mentre tutto ad un tratto i ricordi del suo sogno ritornarono a galla da qualche zona remota del suo subconscio. Ormai la voce di Antonio Formato era diventata indistinguibile tra la folla di chiassosi ospiti. Tutte le parole si unirono creando un suono confuso, cacofonico, rumoroso, indecifrabile. In quel groviglio di suoni incomprensibili, Otis provò a riprendere fiato. Ricominciò a contare a mente con la speranza che la sua vista tornasse nitida.


“Uno”, inalò dal naso, soffiò dalla bocca. La sua vista era offuscata. Tutto era frastornante.

"Due", inalò dal naso, soffiò dalla bocca. Intorno a lui solo ombre nere. Le sue orecchie fischiavano.

"Tre", inalò dal naso, soffiò dalla bocca. Qualcosa stava accadendo intorno a lui. Un sibilo metallico entrò prepotente all'interno delle sue orecchie lacerando l'emisfero destro del suo cervello e disintegrando la sua comprensione delle cose.

"Quattro" inalò dal naso, soffiò dalla bocca. In quell'indistinguibile fracasso, riuscì a comprendere solo una parola detta da qualcuno a pochi passi da lui.

"Cinque".


Otis si rialzò e mise finalmente a fuoco. Non c'era più nessun rumore ad infastidirlo. Di fronte a lui c'era una ragazza dai capelli rossi. Intorno a lui, una foresta di alberi informi.




Capitolo 7: Vermillioncore

 


Ciao viandante, io sono uno spirito guida […] sono qui per dirti che [… ] la tua ricerca è appena agli inizi. Cerca di vivere il più possibile, almeno fino a 120 anni. Miliardi di cicli verranno, trovarsi e perdersi, sbagliarsi e correggersi, il tuo destino è scritto e da scrivere […] Devi vivere due vite come una sola per trovare il drago e devi farlo senza parlare, senza star zitto, disintegrando te stesso e il concetto di adesso.  


_p_

 

Otis ascoltò per la prima volta questo testo all'interno del' album "Cuore, Amore, Errore, Disintegrazione" dei Uochi Tochi in un freddo novembre del 2015. Erano già passati circa quattro mesi da quando aveva chiuso in maniera tutt'altro che amichevole i rapporti con Rachele, l'ultima ragazza con cui aveva avuto una relazione stabile. La cosa strana era che, durante un anno di relazione, tutto sembrava andare a gonfie vele. Quello che Rachele non sapeva e che Otis le nascose nell'ultimo mese di relazione, furono una serie di strani sogni che cominciarono ad avvenire in maniera sempre più frequente. In questi sogni, una ragazza con dei capelli di un forte colore rosso, accesso, innaturale, piangeva di fronte a lui in uno scenario scuro, indefinito. Nel sogno Otis la guardava impotente, senza capirne il senso o cosa fare. Il sogno si ripeteva un paio di volte la settimana e questo, sommato ad alcune tensioni interne dovute alla mancanza di lavoro, portò Otis a mollare Rachele senza darle ulteriori spiegazioni, in un momento di pura confusione mentale. Non era nemmeno la prima volta che gli succedeva: qualche anno prima questi sogni apparvero per diversi mesi e convinsero Oto a chiedere l'opinione di uno psicoterapeuta. Dopo 6 mesi di sedute, non ebbe nessun risultato e abbandonò la terapia perdendo completamente fiducia nei dottori. Rachele provò in un primo momento a riavvicinarsi, almeno per cercare di capire cosa stesse accadendo. Otis fu irremovibile e durante una telefonata le disse di sparire per sempre dalla sua vita. Per quanto Otis sapesse che dire una cosa del genere avrebbe comportato una rottura netta e irreparabile, decise consciamente di fare la figura dello stronzo: era l'unico modo per far si che la ragazza potesse dimenticarlo e ripartire da zero, senza rimorsi. Le ultime parole di lei furono: "Ti pentirai amaramente di questa scelta". Otis sapeva già allora quanto lei avesse ragione. Dopo questo brusco avvenimento, Oto passò un mese dedicandosi alla meditazione trascendentale e alla lettura che praticava nella pineta di Loggia San Felice, il suo paese d'origine, riuscendo a lasciarsi tutto alle spalle.  


La pineta di Loggia San Felice è situava a circa un chilometro dal centro del paese e a circa due chilometri dalla campagna dove c'era la vecchia sala prove. All'entrata della pineta era stato costruito un parco giochi, frequentato dai bambini per lo più nei weekend e in estate. C'era addirittura una famiglia di San Cupo (la famiglia Agozzino) che, una volta ogni quindici giorni, portava i figli per un paio d'ore al parco giochi durante i mesi più caldi dell'anno. Il più del tempo però, la pineta risultava vuota, soprattutto dopo l'orario di chiusura del cimitero, situato nella parte alta. La Pineta in sé aveva visto il suo periodo di massimo splendore negli anni '60, dopodiché un invasione di processionarie fece ammalare tutti i pini presenti nello spazio verde. Nonostante alcuni costosi interventi con gli elicotteri, gli alberi non si erano mai più ripresi dall'invasione dei terribili lepidotteri. Ulteriori trattamenti furono intrapresi, soprattutto perché nel 1998, fu approvato un Decreto Ministeriale che rendeva obbligatoria la lotta all'insetto nelle aree ritenute a rischio infestazione. Tra i tanti trattamenti subiti, che includevano l'utilizzo di pesticidi, armi e il fuoco, di quegli alberi ormai non era rimasto che uno scheletro in legno. Solo un metodo sembrò alquanto efficace nella lotta delle larve di falene, ovvero l'utilizzo della Formica Rufa, o formica rossa, una particolare tipologia di formica che invece di utilizzare un pungiglione, adopera come tecnica di difesa un potente getto di acido formico in grado di arrivare fino a 30 centimetri di distanza. Alcuni uccelli, come i corvi, tendono a provocare queste tipologie di formiche fino a farsi bagnare con l'acido al solo scopo di liberarsi dei parassiti. La formica rufa ha addome, zampe e antenne nere, mentre la livrea ed il suo nucleo, sono rossi.  




Rossi erano anche i colori dei capelli di una ragazza che qualche settimana dopo la rottura di Otis e Rachele, stabilì un contatto visivo. La scena accadde una sera nel bar al centro di Loggia San Felice. Otis notò il suo sguardo e cominciò a fissarla. Ci volle qualche settimana prima di associarla alla stessa ragazza del suo sogno. Provò per tutta l'estate a parlarle ma lei si rifiutò di rispondergli. Otis non si diede pace. Non riusciva a capire il perché di questi strani sogni, non riusciva a capire cosa potesse fare per far smettere tutto questo e non sapeva cosa dire. Inoltre, essendo una persona timida e timorosa, non riuscì mai a dire alla ragazza dai capelli rossi di Loggia San Felice dei suoi sogni, per paura di infastidirla o di terrorizzarla. Otis scriveva lettere su lettere, a volte canzoni, con la speranza che quest'ombra nella sua testa cessasse di manifestarsi. Dopo l'estate Otis si rese conto che stava inseguendo un sogno che viveva solo nella sua testa. Sognava una persona che non aveva nessuna intenzione di avvicinarsi. A partire dall'autunno di quello stesso anno, ormai solo, decise di dare un taglio alla sua vita sociale. Per circa un anno, nessuno a Loggia San Felice poteva dire di aver visto Oto Sinici da nessuna parte. I suoi sogni continuarono a perseguitarlo, prima tutte le sere, poi un paio di volte al mese, ma non cessarono mai. Più il tempo passava e più la ragazza nel sogno era arrabbiata con Oto. In un sogno ad esempio lei gli diceva di andar via, in un altro, la ragazza mandava un'emissaria sua amica per dirle di stare lontano da lei. Inoltre la ragazza dai capelli rossi aveva in ogni sogno delle leggere differenze, principalmente nel colore degli occhi: celeste, poi grigio, poi nocciola… poi verde. Otis stava impazzendo mese dopo mese.



Nella foresta di alberi informi, Otis stava ancora riprendendo fiato quando guardò la ragazza di fronte a lui e notò una nuova differenza. Questa volta la ragazza dai capelli rossi non aveva gli occhi. Le sue orbite erano nere come l'oscurità delle tenebre, come il cielo di quella assurda foresta monocromatica in cui tutto ad un tratto era stato catapultato. Nulla sembrava avere un senso in quegli istanti. Per un paio di secondi guardò gli alberi, una serie di insetti in fila indiana strisciavano e si arrampicavano su di essi.  



Osservava intimorito il lento ma ordinato modo con cui le bestiole si arrampicavano su alberi che sembravano vivi e che ondeggiavano come i riflessi dell'acqua. Era così confuso che riposò di nuovo gli occhi sulla nuova forma dell'ombra rossa. La ragazza sorrideva con un sorriso sincero e sereno. Ma Otis non riuscì a trovare serenità nel guardarla, era paralizzato, completamente immobile. Anche il suo respiro rimase sospeso. Ricordò, tutto ad un tratto, il sogno fatto quella stessa notte che stava provando a raccontare a Michele: Rachele che perdeva sangue dal naso, il campo di grano, la vecchia Miluccia che rideva, Michele che le tagliava la gola. Il sangue di entrambi si riversò in una piccola pozzanghera all'interno di una strana foresta oscura. Poi tutto divenne rosso. Ora Otis era in quella foresta e stava guardando una ragazza coi capelli color del sangue, senza bulbi oculari che le sorrideva. Otis riconobbe in lei la bellissima ragazza che lo aveva accompagnato in tutti quegli anni all'interno dei suoi sogni… eppure era diversa, qualcosa nel suo corpo, nel suo volto…. era diversa e allo stesso tempo era lei. Come poteva essere possibile una cosa del genere? Otis cominciò a rilassare i muscoli del suo corpo. La ragazza si accorse di questo impercettibile movimento ma continuò a sorridere ad Otis. Otis pensò in quegli istanti eterni a qualcosa da dire. Per mesi durante quell'estate in cui provava a parlare con la ragazza di Loggia San Felice che fissava nel bar, si ritrovò a scrivere centinaia, migliaia di parole che non ebbe mai il coraggio di dire.


Poi d'un tratto realizzò che la ragazza che aveva di fronte non era la ragazza che aveva visto nel bar, le assomigliava moltissimo, ma non era lei. L'ombra rossa si manifestava a volte in alcune ragazze che Otis aveva incontrato o solo intravisto. Le guardava e a volte ritornavano nei suoi sogni e non riusciva a capire più nulla. Ma ora la forma pura, immateriale e spogliata della carne umana di cui si vestiva era lì. Quando prese coscienza di ciò cominciò a parlare, come un fiume in piena che straripa e tirò fuori quello che aveva dentro con impetuosa impazienza.


"Ombra rossa! Perché appari sempre nei miei sogni? Perché piangi, ti arrabbi e ridi? Perché se provo ad avvicinarmi scappi via? Vuoi spiegarmi perché vivi dentro di m--"


Otis smise di parlare e sgranò gli occhi. Provo a ripetere "Dentro" ma fu inutile. Ogni parola che stava pronunciando non generava suono. Non c'era nessun rumore, nessun sibilo, nulla. Oto si rese conto che per quanto si sforzasse a parlare e a gridare, dalla sua bocca non ne usciva che una flebile vibrazione muta. Si fermò e si rese conto che anche gli alberi avevano una sorte di vibrazione, così gli insetti su di essi. Tutto emetteva delle vibrazioni, ma nessun suono. Percepì anche in lei una sorte di vibrazione più intensa, differente da quella degli alberi o degli insetti. Otis deglutì e si pietrificò quando non udì nemmeno il suono della sua saliva scendergli attraverso la gola. La ragazza dai capelli vermigli, dopo il tentato dialogo, non stava più ridendo. Ora il suo volto aveva cambiato espressione, era seria anzi serissima. Otis spalancò la bocca ma non per parlare, era solo terrorizzato a morte. Senza nessun preavviso, l'ombra rossa spalancò la bocca. L'allargò al limite e quello che ne uscì fuori fu un grido assordante, impetuoso, incontrollabile. Il lamento dell'ombra rossa era l'unico rumore presente in quella foresta ed era più assordante di qualsiasi tuono in una tempesta. Otis cercò di ripararsi dal getto impetuoso di quell'urlo portando una mano davanti al viso mentre con l'altra si copriva un orecchio. La forza dell'urlo era così potente che Otis avvertì uno spostamento d'aria sul palmo della sua mano. Strinse i denti e chiuse gli occhi. L'urlo sembrava non voler finire mai.  



Lentamente provò a riaprire gli occhi mentre il vento caldo gli passava sul volto. La prima cosa che mise a fuoco fu la sua mano, ma la guardò inorridita: sopra di essa s'erano poggiate decine di quelle che sembravano falene. Oto non fece in tempo ad accorgersi di cosa fossero quelle creature che sentì un intenso calore all'interno della mano. ll calore poi si fece più intenso e si trasformò in un lancinante dolore. L'urlo continuava imperterrito. Otis non riusciva più a ripararsi le orecchie, provò a scrollarsi da dosso quegli insetti. Con tutto la forza che gli era rimasta addosso, cercò di far cadere le creature con un gesto deciso della mano. La maggior parte caddero al primo colpo. Otis continuò a guardarsi la mano terrorizzato mentre si scrollava le falene di dosso. D'un tratto le mani cominciarono a tremargli e non riusciva più a controllarne il movimento. Il vento caldo stava colorando l'aria di una strana nebbiolina rossa. Se le portò entrambe davanti agli occhi e notò che le mani stavano cambiando colore, diventando sempre più pallide. Ma non solo: notò che la pelle cominciò a stringersi e rinsecchirsi, a diventare floscia e cadente. Una parte di lui avrebbe voluto uno specchio con sé per capire se anche il resto della sua pelle stava subendo lo stesso trattamento, un'altra parte era semplicemente spaventata a morte. Otis era immobilizzato mentre, senza più energie, si faceva trasportare dalle grida, dalle vibrazioni e da quello strano vento. Guardò ancora l'ombra rossa mentre si dimenava in quell'urlo infinito e non ebbe più la forza di contrastare la sua furia. Qualsiasi fosse stato il motivo della collera dell'ombra rossa, Otis non lo avrebbe mai saputo perché ormai le poche energie che gli rimasero lo fecero afflosciare a terra, esanime, senza più un filo di energia. Otis si accasciò, mentre tutto intorno a lui diventava rosso. Il suo corpo a terra sembrava non avere più peso. A terra, incredulo, si rese conto che le grida erano mutate ed erano diventate il fischio urlante del vento. Stanco avvilito e senza energie, Otino sentì sul suo corpo un formicolio… qualcosa che gli stava camminando addosso e che lo stava ricoprendo.  


La carcassa di pelle rinsecchita conosciuta come Oto Sinici si stava rapidamente ricoprendo di formiche che lo bagnavano di acido formico. Otis era a terra col volto al cielo a guardare il rosso intorno a lui. Le formiche lo stavano ricoprendo completamente. Da quella visuale, guardò avvicinarsi a pochi passi la ragazza dai capelli rossi che lo guardò mentre lui era disteso a terra. Oto, sempre più debole la guardò e… qualcosa era cambiato in lei. Stava sorridendo mentre guardava Otis ricoperto da formiche. Ed Otis non era più terrorizzato… stava trovando la pace. Gli occhi di lei… Dio… Otis guardò quegli occhi, non più vacui orbite oscure ma occhi veri ed erano bellissimi di un intenso e stupendo color--*-



"Otis!" Un potente schiaffo risuonò all'interno della stanza. La guancia vibrò e in pochi istanti il suo colore arrossì per l'impatto con la mano. "Otis svegliati!" Un secondo schiaffo dato sulla guancia indolenzita fu ancora più efficace della prima. Otis aprì gli occhi, intorno a lui, decine di persone che lo fissavano. Riusciva a respirare a fatica. Sentì il tatto di due grosse mani che gli stringevano la testa e lo afferravano dal mento in su. Tra i vari mormorii che si sentivano nella sala da pranzo del museo Bassi, la voce dell'uomo che stava urlando con un tono gravoso era familiare ma ancora indefinita. Un terzo schiaffo, questa volta destabilizzante e doloroso, sturò anche le orecchie di Otino, accasciato a terra e circondato da una folla di sconosciuti. Chiuse e riaprì gli occhi. Appoggiò la sua mano sulla fronte. Le persone intorno a lui si allontanarono di qualche passo per permettergli di respirare. Non riusciva ancora a capire cosa fosse accaduto e si guardò intorno confuso. C'erano facce sconosciute, altre invece erano persone che aveva visto in passato ma non si ricordava ne i nomi e nemmeno in quale circostanza le avesse viste. Provò a rialzarsi con fatica. Antonio Formato gli allungò una mano e lo aiutò a rialzarsi da terra.  

"Stai bene?". Otis continuò a respirare ma senza proferire parola. Si limitò a ad un cenno con la testa per tranquillizzare Antonio. Otis respirò a fondo e guardò Antonio con un volto vacuo e per nulla rassicurante. Uno degli estranei si avvicinò, si calò a terra e prese un oggetto che era caduto dalle tasche di Otis."Ragazzo, ti sono cadute queste." Otis, prese l'oggetto senza guardare. Sentì Il freddo metallo e realizzò di cosa si trattasse. I suoi occhi sgranarono. Focalizzò un dettaglio alle spalle di Antonio, li, dove c'era quel quadro con quella strana foresta. Proprio lì, nell'angolo sinistro della cornice, si era appena appoggiata una falena. Otis la guardò, il suo volto rabbrividì ed il suo sangue si congelò mentre in mano stringeva con forza il mazzo di chiavi della sua auto.  


Dipinto: Stefano Donatiello



Capitolo 8: Ignis Fatuus




 - Bah.. Sinceramente, il fumetto è tutta un' altra storia. Al diavolo le sorelle Wachowski e il loro utopistico film. Hanno sguinzagliato una generazione di fomentatori d'odio. Sono convinto che lo spunto per la nascita dell'ISIS l'hanno preso dopo aver visto il film e senza mai aver letto il fumetto. Tutto questo per far credere alle persone che possono realmente cambiare le cose. Sai cosa succederà? Succederà che quando tornerai qui non sarà cambiato niente, ad eccezione di tre cose: Qualche bar cambierà gestione, i tuoi famigliari ti sembreranno più vecchi e le sigarette saranno più care. Quello che ti aspetta qui e di restare a guardare mentre tutti in un modo o nell'altro cercano di ingannare la morte. Un bel giorno, mentre farai due passi, vedrai un manifesto appeso ad un palo o sui muri di qualche tuo vecchio amico o compagno di classe abbracciato ad un partner con sotto la scritta "Oggi Sposi" e li vedrai condannati a continuare a vivere qui per il resto della loro vita a credere di essere felici solo perché non hanno mai voluto realmente guardare dentro sé stessi. Sai per quale motivo? Per paura di dover cambiare opinione su convinzioni su cui hanno basato la loro esistenza.

- Magari sono felici davvero...

- Certo che sono felici. Felici di non dover più soffrire di nostalgia.  

- Perché non parti anche tu?

- Ora come ora non posso.

- Si, dici sempre così.

- Sto aspettando che comincino a pagarmi per quegli articoli. E poi lì con te c'è già Michele...

- Non ho capito perché ce l'hai tanto con lui… perché cavolo non sei voluto venire ad accompagnarlo quando è partito? Lo sai che non tornerà più qui, non dopo quello che gli è successo. Lui resta un tuo amico.

- Amici certo… amici per convenienza… Serve la macchina? chiediamo ad Otino. Serve qualcuno che ti cerchi un lavoro? Otino ha le conoscenze. Poi chiami solo per sapere come stai e ti rispondono con "bene, ma da oggi in poi non dovrai più chiamarmi". Ma ti rendi conto? È partito quattro mesi fa, non ieri, e ha chiuso i rapporti con tutti. Anche con le uniche persone che lo sopportavano. Ti sembra giusto?

- È una sua scelta. Nel bene e nel male le scelte vanno rispettate, soprattutto le scelte delle persone a cui tieni. Poi tu non parlare di chiusura di rapporti che proprio non puoi aprire bocca.

- Lo so cazzo lo so. Non c'è notte in cui non mi senta un completo idiota… e tutto questo dopo sei mesi, non subito, ci sono voluti sei mesi per rendersi conto del casino che ho combinato. E poi sono passati due anni, forse tre… e non c'è giorno che non pensi a voler tornare indietro e cambiare le cose...

- Hai provato a risentirla?

- Credo mi abbia bloccato, non riesco a scriverle.

- Per come l'hai trattata, non mi stupisce affatto.

- E tutto questo per una serie di stupidi sogni.

- Non dare la colpa ai tuoi sogni, le cose non andavano già bene, non facevi che lamentarti.

- Forse... ma dovevo capire da solo se ci tenevo… ci ho messo troppo per capirlo… troppo…

- No, le avresti fatto solo altro male e lo sai. Devi andare avanti, non puoi venire tutti i giorni qui. Va bene ogni tanto, ma ormai sembra che tu ti sia trasferito qui dentro, in mezzo ai ricordi della tua vita. Non puoi vivere nei ricordi Otì, non ne uscirai così.

- Lo so amico mio, lo so… dimmi piuttosto… com è l' Inghilterra?

- Fredda, ma impegnativa. Non mi permette di trovare il tempo per pensare al passato. E per ora, solo per questo, non ho voglia di ritornare qui.

- Dai, godiamoci queste poche ore che abbiamo. Almeno questa estate avrà un senso per un paio di giorni. Tu quand'è che riparti?

- Sto qui per il weekend, riparto lunedì e poi ritorno ai primi di novembre.

- Remember, remember the 5th of November!


- - -



Otis era uscito fuori per una boccata d'aria. Non riusciva più a respirare. Non aveva la minima idea di quello che gli era appena capitato ma dopo quel viaggio inaspettato all'interno della foresta, qualcosa in lui era cambiato. Non era qualcosa definibile con le parole, era semplicemente un sentore strano e sconosciuto che si estendeva lungo il suo corpo. Antonio Formato aveva preso la tenda e il resto delle cose che Oto aveva lasciato a terra e gliele stava portando, insieme ad un bicchiere di acqua e zucchero. Intorno, tutto San Cupo si era animato di persone. Mai così tante se ne erano viste in quel piccolo paese. Lungo le strade si erano aggiunte bancarelle, paninari e vari artisti locali. Un camioncino aveva tirato su una griglia enorme e continuava ad arrostire salsicce. Da quella posizione Otis riusciva anche a vedere il fumo di un falò di medie dimensioni che stava generando una grossa nuvola nera che aveva coperto il cielo. Una vecchia tradizione centenaria a San Cupo consisteva nell'accendere un piccolo fuoco fatuo davanti la casa dei soldati dispersi durante la guerra. Ancora più particolare era la storia di come questa tradizione dal sapore nord europeo fosse giunta in un paesino del sud Italia.  



A quanto raccontavano le anziane signore di San Cupo che a loro volta avevano ascoltato la storia narrata dalle loro nonne, un giorno di più di cento cinquanta anni prima, un vecchio coltivatore, mentre stava raccogliendo il grano nel suo campo, notò un uomo giungere dal caldo e soleggiato orizzonte. Il contadino lo guardò stranito per via del suo aspetto. L'uomo misterioso aveva una carnagione chiarissima, barba e capelli lunghi e biondi, corporatura massiccia, indossava dei vecchi stracci e portava sulle spalle una pesante cassa in legno dalla forma cubica. L'uomo misterioso arrivò a pochi passi dal coltivatore e gli disse sorridendo "God dah!". L'altro non capì, lo guardò confuso e disse "Guddà?" "God dah!" ripetè lo straniero. Dopo qualche minuto di incomprensioni l'uomo misterioso si presentò: "Jag heter Jörgen Ek".  


Il coltivatore notò la stanchezza dello straniero e gli offrì vitto e alloggio presso la sua cascina tra le campagne di San Cupo. Non si fidava del tutto di quello strano uomo arrivato chissà da dove ma aveva bisogno di manodopera per il lavoro nei campi. Il coltivatore, un piccolo uomo sulla sessantina, era sposato ed aveva avuto cinque figlie, senza nessun erede maschio. Vista la corporatura robusta dell'uomo, aveva già pianificato di poter finalmente alleggerire gran parte del suo lavoro, almeno per un paio di giorni. Durante la cena, tutta la famiglia dell'uomo riunita al tavolo, era incuriosita sia dallo straniero che dal contenuto di quell'enorme cassa che portava con sé. Il coltivatore provò ad esprimersi a gesti per domandare a Jörgen cosa ci fosse in quella scatola.  


Toccava il legno della cassa con la mano e poi con la stessa, stringendo i vari diti a mo di becco, gesticolava di fronte al naso di Jörgen. "Che ci sta qua ddinto?" Jörgen capì la domanda e cominciò a ridere fragorosamente, anche per via dei fumi del vino paesano che gli era stato offerto e che aveva colorato di rosso la sua pallida faccia. Jörgen provò a spiegarsi anche lui a gesti. Rifletté un secondò, batté le dita sul tavolo è sospirò. "Detta… Detta är.. err.. ". Jörgen cominciò a sbruffare non riuscendo a trovare le parole per definirne il contenuto. Si portò le mani sul petto, all'altezza del cuore e disse con un sincero sorriso "Detta är livet!". Il coltivatore, sgranò gli occhi e rispose "Ah! Stanno le aulive!". Tutte le figlie scoppiarono a ridere. Lo stranierò incuriosito disse: "Auliven? Vilka är auliven? Nej!" A questo punto si alzò in piedi mentre tutta la famiglia del coltivatore attendeva una risposta con trepidante attesa. Jörgen allora si avvicinò al coltivatore, gli toccò il petto e disse "Detta". Poi si avvicinò all'anziana moglie del coltivatore, le toccò il petto e disse "Detta", dopodiché guardò tutte le figlie e puntandole col dito le fece segno di portarsi una mano sul petto. Loro, prima arrossirono e poi seguirono le indicazioni dello straniero. "Detta, detta, detta, detta… detta!" Poi tornò a guardare il fattore, diede due colpi alla cassa com la mano e disse "Detta är licet". Si portò le mani al cuore e aggiunse: "Min familj!". 



Tutti rimasero in silenzio. Il coltivatore rimase senza parole, le figlie del coltivatore continuarono a ridere e a portarsi le mani al petto e ripetere "Detta" come in un gioco, ma il loro padre rimase con uno sguardo vacuo. La moglie del contadino rideva con le figlie ma notò lo sguardo pietrificato del marito. Lo straniero fu sistemato insieme con la sua cassa in una piccola stalla a pochi metri dall'abitazione. Prima di andare a dormire, nella sua camera da letto, il coltivatore discusse con sua moglie di quello che era accaduto durante la cena. Lo straniero aveva lasciato intendere in maniera ambigua cosa ci fosse in quella scatola. I dubbi si stavano insinuando nel San cupese e sua moglie li alimentò ancora di più con le sue supposizioni. Prima di andare a dormire, discussero a lungo. Il giorno seguente Jörgen venne svegliato all'alba e si incamminò insieme al fattore nei campi. Jörgen lavorò duramente anche come forma di ringraziamento per l'ospitalità ricevuta. Di fatto il solo lavoro di Jörgen quel giorno, equivaleva a tre giornate tipiche di lavoro del coltivatore. Per tutto il tempo l'uomo non domandò nulla allo straniero rimanendo visibilmente pensieroso. Ma al tramonto, durante il viaggio di ritorno a casa, provò di nuovo a parlare con Jörgen cercando di togliersi alcuni dei dubbi che arrivati a quel punto della giornata, lo stavano facendo impazzire. Mentre camminavano, il coltivatore si fermò e si mise di fronte a Jörgen. Gesticolò per un po'. Allargo le mani per raffigurare l'enorme cassa e provò a dire allo straniero "Detta… No! Non qui!" muovendo le braccia a destra e a sinistra in segno di negazione. Poi continuò "Gendarmi…" provò a raffigurare una sentinella, una guardia, con scarso esito. "Gendarmi a me… caput!" fece con la mano il segno di una grossa X nell'aria. Jörgen rimase confuso in un primo momento, non aveva capito tutto ma qualcosa la capì: Quella cassa di legno era un problema. Quando tornarono a casa, Jörgen aveva un viso cupo e triste e non ci fu la stessa allegria come durante la sera precedente. Jörgen dopo cena tornò nella stalla. Il giorno seguente, all'alba, il coltivatore andò a chiamare Jörgen nella stanza ma quando entrò notò che la grossa cassa era sparita. Svegliò Jörgen e indicando il punto dove prima c'era la cassa, chiese spiegazioni. Jörgen rispose "Nej! Inte mer! Inte Mer! Gesticolando con le mani fece il segno della grossa X come il coltivatore qualche ora prima :"Nej Gendarme! Nej!". La scatola era sparita. Jörgen non disse mai più nulla della grossa cassa e rimase in quella casa a lavorare per diversi anni. Grazie all'aiuto di Jörgen il fattore riuscì a guadagnare molti più soldi che gli permisero uno stile di vita più agiato e tranquillo. 


Col passare del tempo, Jörgen si innamorò della più grande delle figlie del fattore e decise di sposarla. Una sera, poco prima delle nozze, chiamò a sé tutta la famiglia del coltivatore e li portò lungo il torrente a valle di San Cupo. Scesero per la stradina e videro di nuovo quella scatola. In un primo momento al coltivatore gli venne un colpo ma Jörgen subito cercò di spiegare. Con tutta la famiglia riunita, si mise a pochi passi dalla cassa che era stata appoggiata su una piccola zattera galleggiante sul torrente. Toccò la scatola e disse "Detta var mit liv, min familj. Questa era mia vita, mia famiglia". Prese una grossa fiaccola situata a qualche metro di distanza e, nell'incredulità generale dei presenti, diede fuoco alla cassa. Sotto gli occhi stupefatti di tutti, la cassa si illuminò di una fiamma bluastra e prese fuoco in una maniera del tutto atipica. Mentre la fiamma bruciava il contenuto della scatola, Jörgen si avvicinò alla sua futura moglie, le toccò il petto e guardandola negli occhi disse "Detta… questo", poi si avvicinò alle sorelle toccandole "Detta, detta, detta, detta", poi si avvicinò alla madre e la toccò. "Detta." Infine toccò il petto del padre. "Detta är livet, detta är min famijl". Questa è la mia vita, la mia famiglia".



Jörgen divenne un cittadino di San Cupo poche ore dopo e cambiò il suo cognome con il cognome della famiglia del coltivatore. Jörgen Ek divenne Jörgen Capilato. La leggenda vuole che Jörgen, poco dopo le nozze, ormai da cittadino italiano, venne chiamato durante una delle guerre d'indipendenza italiane da cui non ritornò mai più. Per anni sua moglie accese dei fuochi fatui affinché la sua anima potesse ritrovare il sentiero smarrito e far ritorno a casa. Da allora questa tradizione è diventata parte integrante della cultura San cupese e fu rispettata anche durante le due guerre mondiali.  



Però la situazione attuale alquanto differente e assai più complicata, l'idea del falò era stata discussa da Don Emilio (prete di San Cupo) e dagli abitanti locali. Essendo una tradizione pagana, non c'era un via libera ufficiale da parte della chiesa e Don Emilio decise di non immischiarsi in una tradizione locale. Così, alcune associazioni giovanili decisero di accendere un falò poco lontano dalla piazza principale. Il fuoco fatuo, ovvero la fiamma blu, necessitava di una quantitativo di metano e fosfato (un derivante nella combustione di resti organici) molto elevata e vennero accese solo alcune fiammelle intorno al molto più pittoresco falò alimentato da ceppi in legno, vecchi mobili inutilizzati e anche oggetti non propriamente adatti alla combustione. Ne uscì fuori un caldo e tossico fuoco rosso, tossico per via della vernice a solvente dei mobili e delle plastiche. Ad accompagnare quel fuoco, delle piccole fiammelle blu, dei fuochi fatui per richiamare a sé "l' anime di li creature". Dalla distanza in cui Otis stava guardando, il blu divenne una sfumatura del rosso, il rosso una sfumatura del nero. Il denso fumo nero stava ricoprendo il cielo e più di una lamentela era stata fatta per via dell'aria malsana che si respirava a pochi passi da quel fuoco.  


Gli abitanti del luogo, vista l'affluenza di persone, avevano trasformato la triste giornata in una specie di sagra. Tutti i paesi limitrofi si erano svuotati, tutti erano a San Cupo a commemorare una scomparsa. E questo era strano perché a San Cupo nessuno parla mai delle proprie disgrazie, le difficoltà vanno nascoste agli altri, non bisogna mai chiedere aiuto. Ma Maicol, Martina, Saverio, Giada, Clemente, Gionatan, Francesco, Marco M. e Marco C. , Raffaella, Jessica, Filiberto, Camilla e tanti altri, ognuno di questi bambini aveva una famiglia e tutte queste famiglie erano una sola e grande "famijl".


Otis aveva finalmente cominciato a riprendersi e aveva bisogno di risposte. Molte risposte. Decise insieme ad Antonio di camminare lungo il paese per respirare un po' d'ossigeno. Otis si caricò lo zaino in spalla e Antonio lo aiutò, portando con sé la borsa con la tenda.


- Antonio… qualcosa sta succedendo qui…  

- Me ne sono accorto Otis. Ognuno sta cercando di trovarci un senso, ma nessuno sa da dove cominciare.  

- Cosa ha scoperto la polizia?

- Non molto, ci sono delle piste, ma bisogna approfondire, qui ognuno potrebbe nascondere delle informazioni utili.

- Tu cosa sai?

- So qualcosa... Tu cosa sai?



Otis, si fermò un secondo e prese i documenti che si era portato nello zaino. Mostrò i vari articoli che aveva stampato la sera precedente. Antonio li lesse con ripugnanza e si rimise a camminare.


- Loro non sanno un cazzo. Oto, sai che mia moglie lavora nell'archivio comunale…  

- Certo…

- Le capita a volte di portarsi il lavoro a casa per gestire l'inventario e riportare anche alcune vecchie notizie, concessioni edilizie, vecchi bandi, scartoffie di ogni tipo. Beh, mi ha chiamato qualche ora fa dicendo di aver trovato qualcosa.  


Antonio, prese dalla tasca il suo smartphone, inserì il codice di sblocco ed aprì la galleria delle immagini. Poi mise il telefono davanti al naso di Otis.


- Guarda qui…


Otis sgranò gli occhi. La foto mostrava una vecchia concessione edilizia datata 1986 con tanto di nomi societari, date e firme. Le società chiamate in ballo erano la "Tu.Na srl" amministrata da Tullio Patrevita e la "Lucusta spa", grossa società con sede a Milano che aveva conquistato il mercato europeo proprio in quegli anni. La società era quotata in borsa e gestiva i settori più disparati, dagli articoli sanitari, alla vendita di aspirine. Il nome dell'amministratore delegato che risultava era quello di Remo Razzi. La famiglia Razzi aveva delle origini San cupesi (difatti c'era una strada a San Cupo di nome via Razzi e anche uno dei vecchi preti del paese portava questo cognome) anche se gran parte di quel ramo si era spostato altrove e nessun legame di sangue era rimasto in paese dopo gli anni '90. Nel documento veniva concessa la possibilità di costruire una centralina elettrica, una piccola centralina di conversione dell'energia elettrica gestita dalla "Lucusta spa" ma realizzata dalla "Tu.Na srl" . L'area di costruzione era una piccola zona boscosa, a pochi passi dalla strada per San Cupo. Una tipica zona di asparagi e di raccolta di funghi. La stessa zona che aveva percorso Oto per arrivare al paese quel giorno.


- Oto, quella concessione fu firmata e qualche giorno dopo passò di li un ragazzo, il figlio di un barbiere locale. Stava cercando dei funghi e ad un tratto cadde a terra. Le sue gambe e parte del suo corpo rimasero paralizzate.

- Io sono passato per di là qualche ora fa… non ho visto nessuna centralina elettrica.

-   Ora scorri a destra.


Nella nuova foto c'era una recente concessione edilizia datata inizio Settembre 2016. Le stesse società, le stesse firme, gli stessi nomi. Tre sole differenze: il sindaco era quello attuale ovvero Zaccaria Lo Conte; La data; Il luogo, Strada Statale 46. Otis rifletté un secondo.


- La strada è…

- Dove sono spariti i bambini…

- Centraline elettriche?

- Nemmeno l'ombra.  

- Dove sono questi documenti?

- Sono in un posto sicuro, non posso dirti altro per ora. Otis, qui c'è qualcosa di molto strano...


Otis aveva finalmente trovato una pista, una pista che non stava nemmeno cercando. Una parte di lui non voleva sapere più nulla di questa storia e di San Cupo. L'assurda giornata che aveva trascorso sembrava non voler finire mai. Ed Otis era stanco, affannato e scosso. Mentre Antonio parlava, più di una volta ripensò al colore degli occhi della ragazza dai capelli rossi. Stava cercando di trovare un senso a tutto questo. E queste nuove informazioni si stavano accavallando, sfiorando la sua lucidità mentale che sembrava ormai vacillare già da un po', da quando si era accorto di avere in tasca le chiavi della sua auto. E questa storia delle centraline… proprio dove gli era comparso Michele, in quella zona. Non poteva essere possibile. Camminò cercando di reggere quanto possibile ma mentre passarono in un vicolo, proprio di fronte a lui notò un piccolo manifesto. Oto si bloccò e restò immobile. Aveva trovato una nuova risposta a una domanda che si faceva da tempo, ma che non poteva proprio reggere ora, dopo tutte le informazioni e le vicissitudini di quel giorno. Antonio si fermò, lo guardò, poi guardò il manifesto e si accorse del dolore di Otis.


- Oh… Non lo sapevi? Cavolo Otis, mi dispiace.


Otis guardò il manifesto rapidamente, poi rimase una trentina di secondi in silenzio a fissare il vuoto. Si bloccò letteralmente. Antonio prese dal suo astuccio una bottiglia d'acqua. Otis restò immobile. Dopo un po' sospirò. Antonio gli porse la bottiglia d'acqua ma Otis la rifiutò.


- Antonio, puoi accompagnarmi alla macchina per piacere?

- Certo Oto.


Entrambi si allontanarono in silenzio, senza proferire parola. Sul muro, una foto di una giovane coppia e la scritta "Gerardo e Rachele, oggi sposi".





Illustrazione: Gianna Mariello


Capitolo 9:  Mêlée Island



Otis non disse nulla per tutto il viaggio. Lo stereo nella macchina di Antonio era spento. Più si allontanavano dalla strada, meno lampioni illuminavano il sentiero, fino a raggiungere l'oscurità più totale. Solo i fari alti del''auto spezzavano le tenebre. Otis era stanco, confuso e nella sua mente tutto risultava una menzogna. I suoi ricordi e le sue fantasie viaggiavano in maniera univoca come i sensi di un sinestetico. Per chi non ha mai letto o sentito questa parola, è giusto cercare di definire la sinestesia in un modo non molto preciso, ma sicuramente alquanto facile da capire: Guardate il palmo della vostra mano, aprite tutte le dita, immaginate che ogni dito sia un vostro senso. Ora provate a chiudere solo il mignolo. Se non ci siete riusciti a chiudere un solo dito in maniera spontanea, allora avete una mezza idea di cosa sia la sinestesia. I ricordi e l'immaginazione di Oto sono il mignolo e l'anulare della vostra mano. Per quanto tutto questo aveva portato Otis, come detto in precedenza, a diverse visite da un terapista, non amava molto parlare della cosa. Aveva paura che le persone avrebbe cominciato a guardarlo in maniera diversa. Antonio era uno dei tanti che non conosceva questo aspetto di Otis. Entrambi si erano conosciuti qualche anno prima per dei seminari storici, poi si erano visti molto più spesso quando Oto e Rachele avevano cominciato a frequentarsi. Rachele abitava in uno dei paesi là attorno e spesso per venirsi incontro e risparmiare benzina si incontrava in uno dei tanti paesi nel mezzo di questa distanza. Era da un po' di tempo che Otis e Antonio avevano perso i contatti. Otis, dopo aver scritto diversi articoli senza venir pagato, aveva cancellato quasi tutti i suoi account social, lasciando solo le app di messaggistica istantanea. Questo era uno dei motivi per cui non era più molto informato su fatti, avvenimenti e persone. Otis era in silenzio mentre la sua testa continuava a generare continuamente immagini. Arrivati al punto della strada in cui Otis aveva lasciato la sua autovettura quella mattina, Antonio fermò la macchina, tirò su il freno a mano ed interruppe il silenzio.


- Allora Oto, te la senti di guidare fino a casa mia? Ho mandato un messaggio a mia moglie, ha già preparato la stanza degli ospiti. Lei ha tutta la documentazione, puoi rimanere da me, ci ceniamo qualcosa e poi possiamo dare un occhiata. Domani mattina io dovrò tornare al museo, ma tu puoi cominciare a fare delle ricerche.  


Otis non rispose a voce, si limitò a fare un cenno con la testa. Aprì lo sportello e si avvicinò alla sua macchina, poi si girò e disse all'amico:


- Parto fra 5 minuti, voglio un attimo controllare una cosa in macchina.

- Vuoi che ti aspetto?

- No vai, ti raggiungo subito, ricordo la strada di casa tua.  

- A fra poco allora.


Antonio, un po' intimorito, decise di rispettare la volontà del ragazzo e ripartì. Oto accese i fari della sua auto per non rimanere nel buio più totale e riscese dall'auto. Prese il tabacco e si rotolò una sigaretta. La mise fuoco e fece un profondissimo respiro. I fari illuminavano la zona boscosa che aveva attraversato quella stessa mattina con Michel… no. Forse non era andata così. Otis chiuse gli occhi, respirò ancora e poi, in maniera del tutto istintiva, tirò un calciò ad una delle ruote dell'auto, poi un altro e ancora un altro. Gridò mentre calci e pugni al tettuccio si alternavano furiosamente. Otis, mentre colpiva l'auto non riusciva ancora a percepire dolore. Sentiva solo una rabbia crescente dentro di sé e quel modo di reagire sembrava la soluzione più logica per far si che la rabbia, trovasse pace. Un colpo, un altro, un altro ancora. Quando qualche minuto dopo si placò sulla sue mani era rimasto solo un po' di sangue ma si sentì molto meglio. Aprì quindi il bagagliaio dell'auto e ci appoggiò lo zaino. Poi prese la tenda e… qualcosa. Qualcosa si mosse tra le foglie. I fari accesi puntavano su quella strana figura. Otis guardò gli occhi di quella creatura brillare, e cercò di focalizzare. Doveva per forza essere una volpe, ma le volpi scappano. Quella creatura stava fissando Otis nascosta tra i cespugli. Forse era un cane, un gatto… ma i cani e i gatti non stanno in piedi. No. Quello che Otis aveva di fronte era un bambino con un grembiule blu. Il ragazzino cominciò a correre. Oto prese la tenda e cominciò ad inseguirlo. Si buttò in mezzo agli alberi, accese la torcia del suo telefono e cercò di raggiungere il ragazzino. Si buttò in un oscuro sentiero, riconobbe una grossa roccia.


"La verità che nessuno vuole sapere… loro si sono ripresi il proprio nome… ed è colpa loro se i bambini sono spariti!"



Sentì il suono delle foglie muoversi. Nonostante qualche titubanza sulla strada da seguire, Otis proseguì in un piccolo e breve sentiero piano, dove il terreno sembrava più percorribile. Forse fu per una mancanza di ossigeno o semplicemente per via di come le ombre stavano cominciano a coprire la luce della luna ma Otis provò un senso di Deja Vù. Tutto ciò che stava facendo, tutto il percorso che stava esplorando, sembrava un percorso già battuto in passato.  


Era lo stesso identico percorso che aveva fatto cercando di raggiungere Michele nei boschi. Camminò ancora fino a quella pietra dove aveva trovato il suo amico ad aspettarlo. Ma questa volta era troppo buio per guardarsi intorno e cercare Michele. Respirò. Cercò di ascoltare il movimento di qualche ramo o delle foglie per capire dove muoversi. Porse l'orecchio, il suono del vento tra gli alberi in quel determinato punto fischiava più che a San Cupo. Ma non era l'unico suono che riuscì a definire. C'era qualcos'altro a qualche centinaio di metri da lui.  


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Un lieve ronzio. Un lieve ronzio elettrico non molto distante. Otis puntò verso quella direzione. Non era la via intrapresa quella stessa mattina, anzi, il suono proveniva da una zona per nulla accessibile, ricoperta di rami secchi. Otis si avvicinò con cautela mentre notò che il terriccio sotto i suoi piedi diventava sempre più molle. Iniziò quindi a camminare con più cautela seguendo il ronzio elettrico. Passò su alcuni rami e con l'unica mano che aveva libera, spostò vari leggenti spezzati per farsi strada. Il suono cominciava ad essere sempre più forte ma non riusciva a capire dove potesse sbucare. Con la poca luce emanata dal telefono, trovò una piccola insenatura tra le rocce ed i rami, un piccolo tunnel. Lasciò la tenda che si era messo a tracolla e ci infilò la testa. Con non poche difficoltà riuscì a passare. Otis aveva di fronte un piccolo tunnel. L'insenatura cilindrica era cosparse di foglie terriccio e… falene morte. Otis proseguì cercando di raggiungere il suono. Dopo qualche decina di metri sbucò da qualche parte. Otis cominciò a far passare un braccio e la testa nell'insenatura ma nel fare questo, fece cadere il telefono. Otis non riusciva a vedere nulla al di fuori della proiezione della luce del telefono ma dai quei due metri di illuminazione aveva capito che si era intrufolato in una strana stanza rurale. C'era della pavimentazione, forse del cemento o delle mattonelle. E quel ronzio… quel ronzio proveniva da lì. Ma non c'era modo di vedere di cosa si trattasse. Otis bloccò il respiro quando vide un paio di gambe mettersi sotto la luce del telefono. Poi se ne aggiunsero un altro paio, poi altre ancora. Qualcuno raccolse il telefono e puntò la luce su di Oto che era rimasto immobilizzato in quel tunnel. Otis guardò per pochi istanti chi aveva di fronte ma rimase inorridito e ripugnante. Cercò di uscire da quel tubo stretto in cui era incastrato. Ma non c'era modo di liberarsi. Otis guardò quelle figure di fronte a lui… dieci, venti, forse trenta bambini lo stavano guardando. Erano sporchi, i loro grembiuli pieni di terra, sudici e la loro pelle era così… strana. Era qualcosa di nauseante, qualcosa che stava spaventando a morte Oto. La loro pelle raggrinzita… non poteva essere possibile… e quegli occhi… dove aveva già visto quegli occhi? No. Forse era tutto uno scherzo, era tutto un incubo. Non poteva essere possibile. Con la poca luce che c'era non riusciva a guardare bene. Ed il terrore che stava provando non aiutò a focalizzare meglio. Otis tirò fuori un grido di terrore e sgomento ma a parte le creature che aveva di fronte, nessun' altro riuscì a sentirlo.  


Illustrazione: Ruben Curto



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La troupe della RAI aveva abbastanza materiale quel giorno. C'era stato modo di intervistare diverse persone a San Cupo. La maggior parte erano anziani, qualche giovane e un paio di operai che si trovavano a lavorare ad un cantiere a pochi passi dal centro del paese. Il sindaco Zaccaria Lo Conte aveva fatto un intervista brevissima perché gli attendevano altre tre ospitate in diretta per "Mediaset" e "Sky". Il totale del girato erano di un paio d'ore e tutto era stato salvato in delle schede Micro SD.  


Uno dei Cameraman si rivolse al giornalista che conduceva le interviste.  


- Ah Claudio, per oggi semo apposto, non ci serve altro materiale, annamo a magnà qualcosa che qua in zona le trattorie so una mejo dell'altra!


Il reporter acconsentì anche perché erano già le due di pomeriggio. Entrambi si diressero verso il loro furgone ma mentre passarono per un vicolo, videro una vecchia signora sull'uscio di una casa che li guardava e rideva. Il reporter rimase incuriosito.


- Aspetta Franco, facciamo una domanda alla signora che ride, magari ci esce qualcosa di diverso dalle solite risposte.

- Se vabbeh però famo in fretta che c'ho fame!


Il reporter si avvicinò alla signora, il cameraman stava rimettendo mani alla telecamera:


- Salve signora siamo della RAI, vorremo farle due domande sui bambini, "li criature"…


La signora con un affabile sorriso cominciò subito a parlare:


Li criature prima nascevunu cu l’uocchi chiusi. Accussi dicevnu! Era alluero ma no come penza mo’ la gente! Che facevano queddre criature? Meh! Criscevunu nu poco a tipu ‘nnimalucci, nisciuno li cacava. Sevna sta cittu ‘nneuna risponne, naevna sente niente picché si diceva ca “chi si metteva cu li criature, la matina su truvava cacato!”

Se si raciniava di cose sconce dicevunu: “Cittu ca ci stanno li gghiurecche sorde”. Però la sera, ‘nfaccia lu ffuoco, s’accuntavnu tanta cunti di spiriti, janare, lupi pumpinari, di santi miraculi di la terra, di la mal’annata, di li trezze a la criniera di li cavalli, si mischiava tutt’ cose e si ievnu a colica cu na’ paura ‘nguollo!

Però era bello sente tanti cunti, quelle ernu le favole! S’accuntava la vita di criature cchiù sfortunate, andò ci steva probbio assai miseria o assai che ffa, ievna a fatià. ‘Nun gghievunu a la scola, evna vardà l’animal, l’evna pulizzà, cambià e darl’ a magnà. A’ mongerle, li figlie femmine ‘cchiu grosse evna fa da mamme a li tanti frat’ e sore ‘cchiu piccoli. Li ‘bbidiv a sei, sett’anni già com’ à femmin’ fatte cu na morra di criature appriessu! ‘Ndannu di figli si ni facevano assaie! Ci steva puru lu premiu pi li famiglie numerose. A ‘bbote si li femmine tenevnu assai latte, si ievnu a piglià li criature a la “Rota” pi l’allattà, ca devnu puru cinqu lire! Ate mammme allattavnu li criature di li mamme ca n’tenevanu lattu e divintavnu mammure di lattu di li figli di ate femmine e li criature diventavanu frati e sore di lattu e la famiglia cresceva ancora di cchiu’! Chi ieva a la scola ‘mmece, ieva a mineva sulu e a appiede, si steva luntanu cu ‘ati uangliuncilli e figliuncelle. Certe vote ievnu scauzi pi nzi lurcià li scarpe, tantu era sulu nu’ paru. Sinnò le maestre (cert’ maestre) ci diceunu: “CAFUNI e LURCI”. Po’ ci ni stevinu certe ca devnu tanta cignate, mittevnu ‘ngastigo cu li ciciri sott’à li ginocchie arretu a la lavagna! Li criature? Cittu! A li mammmure e a li padri non dicevnu niente sinnò avevnu lu riestu! Mo uno penza “poveri crature!“ Perciò ernu addurmuti, mo so cchiu ‘ntiligenti... ‘ndannu forze manco sunnavnu! Nnea alluero! ‘Ndannu ammaturavano prima, la megliu maestra era la vita e sunnavnu cchiù di mo, picchè ntinevnu niente! Però quant’era bellu quann’era festa, era festa pi ruossi, picculi e mezzani! Tutt’anziemu! Lu muzziciellu bbuono, lu vinu, lu ruganetto, li sturnellate e zumbittiamenti pi chi ‘nsapeva abballà. Tarantelle, mbriachia, ammiccamenti e puru quacche mal’ parola! Sunnavnu, sunnavnu eccome! Sacciu lu cuntu di na figliulella ca s chiamava Melina ca vuleva esse vientu, no COME a lu vientu, ma probbio VULEVA ESSE VIENTO! ‘Nci stevnu pazziarelle o ate diavularie com’ a mo’ e quannu steva sola pinzava. Era ‘cchiu fortunata di late criature ca a l’età soia già fatiavnu ‘nda la terra! Picchè sì, ndannu li figli si facevnu PURU pi aiutà a fatià! Sta creatura era quattr’ossera ‘mpalate, purtava sempre na maglitella tutta stintinnata ma era curiosa com’à na scimmia! Sta caspita di figliulella addummanava sempe a la mamma “chi puteva firmà lu vientu?” e quannu la mamma li risponneva: “Li muntagne”, essa ‘nci crideva! Aspittava com’à na razzia ca lu vientu si faceva vidè. Lu ieva sulu acchiappannu! E... ‘quannu viento arrivava, che ti cumbinava! Quannu lu grano, cu lu vientu, si cunniliava com à nu maru, ci si minava dinta e bbideva lu maru ca ‘nnera mai vistu! Quannu steva malinconica cercava lu vientu pi si fa accarizzà picchè a quiddri tiempi li carezze ‘nsausavavno! Le mammure dicevnu ca li figli si vasinu quannu duorminu!

Quanno po’ lu vientu era forte e si purtava lu munnu pi ‘nnanze, ‘ndannu era lu mumentu ca pur’essa cacciava fore tutta la raggia ca teneva ‘nguorpo e lu vientu la capeva e l’aiutava, picchè spaccava, rumpeva, spizzava probbito come vuleva fa essa, MADONNA CHE PASSIONE pi lu vientu! A quiddri tiempi, quari nonnarelle e bacini! Tuttu era tuosto com’à lu ‘ppane. Certe volte, seva coce o seva ‘nfosse pi si lu magnà. Nunn’era cchiu lu pane tuosto ma “pane cuotto cu lu putresino, l’aglitello e l’oglio o acqua e sale cu l’ezeuna e l’uoglio”. Com’era bbuono! Picchè li mammure nun tinennu nient’ato, lu cunzavno cu l’AMORE.

Quannu Melina si ieva a colica e lu vientu d’afore friscava, ci diceva: “Portmi cu tte!” E nda lu suonnu girava lu munnu sanu, ‘nzieme a isso! Mo com’ea come nunn’ea, ha successo ca quannu ha fatto rossa e ha potuto girà nu poco lu ‘munnu, nda cierti posti come lu Marocco o la Turchia, ha dittu: Jo qua’ ciagghiu già statu!


Il reporter la guardò stupefatto, senza aver capito nulla di quello che la signora avesse detto. Non ebbe nemmeno il coraggio di interromperla. Il Cameraman invece, non riuscendo a trovare le schede SD che aveva già messo da parte, solo ora aveva finito di montare la telecamera.


- Ok, semo pronti!

- Signora, puoi gentilmente ripetere quello che ha detto?


La signora continuò a ridere e lentamente se ne tornò dentro l'abitazione lasciando entrambi senza parole.




Sigla Finale:





Note dell'Autore - 2024:


La serie di racconti "Criature" è stata realizzata nel 2017 da Antonio Furno e Flavio Ignelzi. Qui potete trovate le altre storie . Scrissi questo articolo di raccolta di tutti gli episodi pubblicati sulla piattaforma Intertwine (Che ora è offline) chiamandolo semplicemente Criature - La Serie Streaming ITA - per scherzo. Quando la piattaforma Intertwine è finita offline, ho ricopiato gli articoli e aggiunti a questo post, più che altro per salvaguardare le foto, i video e le musiche e le illustrazioni degli artisti coinvolti (Non c'è nessun uso di intelligenza artificiale nella generazione di questo progetto). Nessuno è stato pagato per la realizzazione di questo racconto. Di recente mi sono ritrovato tutto ad un tratto centinaia di clic su questo articolo per poi scoprire che esiste un film dal titolo "Criature" del 2024 diretto da Cécile Allegra. Questo racconto è stato realizzato 7 anni prima di questo film e non ha nessuna correlazione con esso. Supportate gli artisti guardando film su piattaforme legali. Se volete farci un film da questa storia possiamo parlarne.